venerdì 12 ottobre 2012

Fino a qui: tutto bene

Ci risiamo, sono sceso dalla giostra e sino al prossimo giro starò tranquillo ad aspettare e a smazzare gli esami di routine.

Come sempre andare all'Istituto è un misto di rassicurazione e di tensione. Nei giorni precedenti il pensiero è fisso al palazzo di via Venezian. Ormai ci saprei arrivare anche bendato. Poi, dopo la visita, come è spesso successo negli ultimi tempi, la tensione si smolla. E io crollo di stanchezza.

In realtà non devo fare molto: accettazione; attesa; visita. una sequenza semplice, per cui non è necessario nè un diagramma di flusso né una slide di power point. Eppure è stancante da matti. In teoria sapendo già prima che gli esami vanno bene un piccolo sospiro lo tiro.
Ma la sera prima è sempre pesante. Bisogna svegliarsi e sbrigare tutto il rituale che ho messo a punto in ogni dettaglio. Porto a scuola mio figlio e poi prendo la 61. Un'oretta di autobus che attraversa tutta la città e arrivo. Mi fermo al bar dell'ospedale, poi faccio l'accettazione e infine lascio la mia impegnativa nella vaschetta fuori dalla stanza dei medici. E aspetto la chiamata 
La notte prima degli esami (del sangue, del midollo e di tutto il resto) è decisamente più faticosa, ma la visita arriva alla fine del ciclo per questo è insieme sfiancante e tranquilizzante. 
Ripercorro, prima di addormentarmi, tutto il tragitto. Provo a stemperare l'ansia. Ma è difficile. Ah come vorrei invece pensare che la mattina dopo dovrò andare a giocare a golf e poi verso le 11 inforcare la moto (magari una bella moto) e farmi un giro. Eppure per alcuni è davvero così, vanno  a letto pensando a quale ferro dovranno utilizzare il mattino dopo. Pensieri diversi che portano a punti di vista diversi sulla vita e sulla morte.
Per me dopo ogni controllo è come una vittoria sulla morte; per altri, quelli che giocano al golf, sarà solo un birdie da raccontare alla club house.

Sapere che l'immunofissazione è ne ga ti va, ha un prezzo altissimo. Quello che ho pagato in anni di visite e terapie. Un prezzo che è valsa la pena pagare. Un prezzo che mi ha consentito di festeggiare il compleanno di lorenzino: sono passati sette anni da quando mi hanno messo in mano un fagotto bianco di 3770 grammi. Impossibile da dimenticare. Da quel giorno ha incominciato a viaggiare insieme a noi. Sul seggiolino dietro. E' cresciuto, parla, mangia, legge, scrive, pensa, si diverte, ci fa arrabbiare. Per fortuna ho potuto vivere tutto questo anche senza moto bella e senza green. All'inizio è stato faticoso ma poi sempre più bello.
Stare bene, e sentirselo dire, quello si non ha prezzo. Tornare a casa dal controllo, rivedere chi ci vuole bene e dire loro "anche stavolta è andata" è una sensazione meravigliosa.  

Eppure la nostra felicità è minata nel profondo, non basta stare bene. Dobbiamo crescere, spendere, consumare, non possiamo goderci quello che abbiamo: la pace conquistata dopo un'esperienza faticosa, gli affetti, le cose buone, un bicchiere di vino, una passeggiata la mattina presto, un giro in motoretta, il drugo che ci racconta come si fa il white russian, il mare fuori stagione.
Dobbiamo arrivare, fare soldi, essere meritevoli, performanti. Si ho scritto performanti (una bruttissima parola). Non c'è spazio per i Bartleby, non ci si può accontentare, altrimenti si è dei perdenti. Perdenti?!! ma chi l'ha deciso?
Bisogna crescere, altrimenti ti togliamo anche quello che ti sei guadagnato. E' la solita storia dei forti con i deboli e dei deboli con i forti. E per non essere dei perdenti dobbiamo migliorare in nostro potere di acquisto.

Gli unici perdenti che conosco sono coloro che sono stati sconfitti (e non certo per volere loro) dalla malattia.  
Non mi stupirei se qualcuno arrivasse a dire che la sopravvivenza è questione di volontà, di palle, di intelligenza, di opportunità: di merito insomma.
Lo dico sempre i problemi sono problemi, non sono opportunità. Altrimenti gli ospedali oncologici sarebbero pieni di coach, di libri del tipo credi in te stesso, di carboni ardenti su cui camminare. E invece sono pieni di gente che sta male, che con le sue forze, le sue risorse prova a venirne fuori. No, il cancro, non è un'opportunità.

Quelli che ce la fanno sono più fortunati: non sono ne i migliori ne i peggiori.
La malattia non migliora e non peggiora nessuno: semmai ti fa vedere il mondo da un altro punto di vista. Un punto di vista, sia chiaro, cui si potrebbe arrivare anche senza rischiare la vita. Ma insegna molte cose su cosa è importante e su cosa non lo è.
Gli affetti sono fondamentali, quelli veri. Non quelli di plastica della televisione o che i mezzi di comunicazione ci fanno vedere tutti i giorni. Forse è esagerato, ma fino a un certo punto, dire che i malati di cancro sono tutti fratelli: ma per me è vero. L'esperienza condivisa è così forte che segna tutti. Non c'è bisogno di dire molto quando incontri un fratello, lui già sa. In più i fratelli sono quelli che sanno che per farcela bisogna si lottare ma anche avere fortuna. E sanno anche che per la meschinità, la furbizia, il piccolo cabotaggio, le miserie umane non c'è spazio. Il paziente non può fare il furbo con il cancro, altrimenti è come toccare i fili: si muore.
Al contrario nel mondo politico, in quello dell'impresa tutto questo è un valore.
In nome del guadagno e della avidità si perdono di vista i rapporti con gli altri. Provano a dividerci, tanto nel mondo del lavoro quanto a livello sociale. E alcuni sono contenti, ma bisogna stare attenti.
Finisco con una poesia di Bertolt Brecht che ben rende l'idea dei rischi che corriamo.
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c'era rimasto nessuno a protestare.

(B. Brecht)

Da Brecht a Jannacci, per allegerire il finale e  per tutti i cuori rossoneri (un po' infranti in questo periodo) vi lascio con quest'altra citazione.
Zero a zero anche ieri 'sto Milan qui,
sto Rivera che ormai non mi segna più,
che tristezza, il padrone non c'ha neanche 'sti problemi qua.

Quest'anno siamo riusciti a fare peggio.

Vi voglio bene fratelli.





venerdì 1 giugno 2012

Controlli e altre storie


Seguendo la buona regola del giornalismo anglosassone, si dice così, nelle prime due righe metto le notizie salienti.


Ho fatto uno dei miei controlli periodici all'Istituto dei tumori e l'esito è ok e l'immunofissazione è NEGATIVA

Oltre all'esame del sangue, in questo giro, ho fatto una risonanza in quattro punti della schiena.

Quello che mi ha colpito, questa volta, però è stata la riga Terapia del resoconto delle visita. In pratica devo tornare a prendere qualche farmaco per la tensione e per la pressione. Sono teso in un momento in cui alcune buone notizie mi hanno accompagnato. E' un controsenso, ma è così. L'ansia mi mangia.


Durante l'attesa nella sala antistante l'ambulatorio ho visto il solito grande via vai di gente e di pazienti. 

Lì, si ha una specie di visione complessiva dei tipi umani, chi è curioso e chiede a un altro un'informazione su un dottore (chi è più bravo, in cosa è specializzato, mi hanno detto che viene dall'America etc..); chi sta fermo, muto e immobile, pietrificato dall'essere in quel posto; chi si muove su e giù per il corridoio. Chi prova a intercettare una parola che lo interessa e si butta nella conversazione. Ero lì che ascoltavo e a un certo punto un trapiantato da pochi giorni racconta il suo decorso, tutto sommato buono. A quel punto intervengo dicendo che  per me sono passati sei anni dal trapianto. Lo dico a voce un po' alta e tutti mi sentono. E' stato come aprire un vasetto di miele in mezzo alle api. In molti volevano chiedermi qualcosa, ma il pudore e la dignità (se volete vederli e capire di cosa stiamo parlando fate un giro negli ospedali, quelli d'eccellenza come l'istituto) ad alcuni hanno frenato l'eloquio. Qualcuno mi ha chiesto e io ho spiegato più che volentieri quello che è successo a me. Anche se sono passati 8 anni dalla diagnosi. Un periodo in cui la cura del mieloma è stata rivoluzionata. 

Poi mi hanno chiamato per la mia visita, la chiamata ha ricordato a tutti che anche io sono un paziente (io non me lo dimentico mai). Quando mi hanno chiesto finché durano in controlli, non ho saputo dare una risposta che non fosse generica. Ma durano per tanto, forse per sempre. Qualcuno pensava che bastassero 5 anni e poi stop, tutto diradato.Non è così, i miei controlli sono molto diluiti: da tutti giorni a tre/quattro volte all'anno c'è una bella differenza. Per quanto mi riguarda non so neanche se c'è una letteratura sui lungo sopravviventi al mieloma dopo l'arrivo del Velcade. Sono comunque sempre un paziente e ogni controllo superato è un colpo di ossigeno al cervello, una piccola rinascita. L'incertezza e la paura ci accompagnano sempre.

Mi sono reso conto una volta di più come la mia storia/testimonianza fosse importante per gli altri, parlo di quelli coinvolti emotivamente. Anche se ogni caso è a se, questo bisogna dirlo sempre, come sempre va ricordato il ruolo del destino, della fortuna, del caso, dell'imponderabile. Ognuno lo può chiamare come vuole. Ma conta, assicuro che conta. 

Al contrario ci sono altri che sono lontani da tutto ciò e pensano di essere immortali e invincibili, non pensano che una cosa del genere possa capitare loro. D'altra parte ci sono persone che si rendono conto che a dover essere curati sono gli essere umani e non le malattie, mentre da un altro lato gli essere umani sono numeri della produzione. Esattamente come le viti, i bulloni, i colli spediti, il fatturato. 

Il loro piacere è vedere aumentare i loro guadagni, non fa niente se poi qualcuno soffrirà. 

Il mio piacere è naturalmente quello di stare bene e di vivere con la mia famiglia il buono che la vita ha da dare, sperando di riuscire ad arginare le cose meno buone. Purtroppo non ci si riesce sempre, siamo infatti artefici del nostro destino sino a un certo punto. E bisogna essere fortunati nel trovare chi il tuo destino se lo prende a cuore e fa di tutto per aiutarti. Ad esempio i miei medici e i miei affetti. Poi c'è chi del destino degli altri non si preoccupa e pensa solo al suo.


Per chiudere mi piace fare una piccola provocazione, inizio mettendo questa minuta e bella poesia  di Prevert, arcinota perché in grado di toccare il cuore di tutti quelli che hanno qualcuno cui volere bene. 

Paris at Night
Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte
Il primo per vederti tutto il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L'ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi queste cose
Mentre ti stringo fra le braccia


Un po' mielosa, molto romantica, invece per gli stomaci e gli stati d'animo più arrabbiati propongo Kafka, 


Davanti alla legge
Davanti alla legge sta un guardiano. Un uomo di campagna viene da questo guardiano e gli chiede il permesso di accedere alla legge. Ma il guardiano gli risponde che per il momento non glielo può consentire. L'uomo dopo aver riflettuto chiede se più tardi gli sarà possibile. «Può darsi,» dice il guardiano, «ma adesso no.» Poiché la porta di ingresso alla legge è aperta come sempre e il guardiano si scosta un po', l'uomo si china per dare, dalla porta, un'occhiata nell'interno.
Il guardiano, vedendolo, si mette a ridere, poi dice: «Se ti attira tanto, prova a entrare ad onta del mio divieto. Ma bada: io sono potente. E sono solo l'ultimo dei guardiani. All'ingresso di ogni sala stanno dei guardiani, uno più potente dell'altro. Già la vista del terzo riesce insopportabile anche a me.»

L'uomo di campagna non si aspettava tali difficoltà; la legge, nel suo pensiero, dovrebbe esser sempre accessibile a tutti; ma ora, osservando più attentamente il guardiano chiuso nella sua pelliccia, il suo gran naso a becco, la lunga e sottile barba nera all'uso tartaro decide che gli conviene attendere finché otterrà il permesso. Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere a lato della porta.
Giorni e anni rimane seduto lì. Diverse volte tenta di esser lasciato entrare, e stanca il guardiano con le sue preghiere. Il guardiano sovente lo sottopone a brevi interrogatori, gli chiede della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande fatte con distacco, alla maniera dei gran signori, e alla fine conclude sempre dicendogli che non può consentirgli l'ingresso. L'uomo, che si è messo in viaggio ben equipaggiato, dà fondo ad ogni suo avere, per quanto prezioso possa essere, pur di corrompere il guardiano, e questi accetta bensì ogni cosa, pero gli dice: «Lo accetto solo perché tu non creda di aver trascurato qualcosa.»

Durante tutti quegli anni l'uomo osserva il guardiano quasi incessantemente; dimentica che ve ne sono degli altri, quel primo gli appare l'unico ostacolo al suo accesso alla legge. Impreca alla propria sfortuna, nei primi anni senza riguardi e a voce alta, poi, man mano che invecchia, limitandosi a borbottare tra sé. Rimbambisce, e poiché, studiando per tanti anni il guardiano, ha individuato anche una pulce nel collo della sua pelliccia, prega anche la pulce di intercedere presso il guardiano perché cambi idea.

Alla fine gli s'affievolisce il lume degli occhi, e non sa se è perché tutto gli si fa buio intorno, o se siano i suoi occhi a tradirlo. Ma ora, nella tenebra, avverte un bagliore che scaturisce inestinguibile dalla porta della legge. Non gli rimane più molto da vivere.

Prima della morte tutte le nozioni raccolte in quel lungo tempo gli si concentrano nel capo in una domanda  che non ha mai posta al guardiano; e gli fa cenno, poiché la rigidità che vince il suo corpo non gli permette più di alzarsi. Il guardiano deve abbassarsi grandemente fino a lui, dato che la differenza delle stature si è modificata a svantaggio dell'uomo. «Che cosa vuoi sapere ancora?» domanda il guardiano, «sei proprio insaziabile.»
«Tutti si sforzano di arrivare alla legge,» dice l'uomo, «e come mai allora nessuno in tanti anni, all'infuori di me, ha chiesto di entrare?»

Il guardiano si accorge che l'uomo è agli estremi e, per raggiungere il suo udito che già si spegne, gli urla: «Nessun altro poteva ottenere di entrare da questa porta, a te solo era riservato l'ingresso. E adesso vado e la chiudo.»

Franz Kafka


Scegliete voi a questo punto se stare con Kafka o con  Prevert. O se un giorno siete Kafka e un altro Prevert.
E tanto per pensare alle cose che mi piacciono finisco con una lista, una play list. La condizione che mi sono posto è quella di scegliere  una sola canzone per artista, non necessariamente la più famosa o la più rappresentativa:
Beatles - revolution 1 (la versione lenta)
Rolling stones - honky tonk woman
Dylan The man in me
Eddie Brickell - good times
Who - baba o'riley
Police - So lonely
U2 I still haven't found what I'm looking for
Credence - looking on my back door 
Vangelis - love theme form blade runner
peter gabriel - solsbury hill
style council - you are the best thing
spencer davis group - gimme some lovin
clash - london calling
Steve miller band - I'm the joker
Smokey robinson - the tracks of my tears
Pino Daniele - Musica musica
Bob Marley redemption song
Leonard Cohen Halleluja
Pink floyd - I wish you were here
Maurizio Pollini - I notturni di Chopin
Marvin Gaye - What's going on

John Mellencamp - Small town

Bruce Springstee - Hungry heart

David Bowie - Heroes

Flletwood Mac - Don't stop thinking about the future.

(queste canzoni erano tra quelle che ascoltavo durante la chemio ad alte dosi).


E poi molte altre ma per oggi basta così.

Vi voglio bene e vi abbraccio tutti. 

mercoledì 18 aprile 2012

6 anni 18 aprile 2006

Oggi sono sei anni che ho fatto il trapianto. Oggi sono sei anni che sono tornato a vivere. Sei anni come quelli di Lorenzo. Oggi è il mio secondo compleanno. Oggi non posso trattenere il magone per quello che ho attraversato. Oggi sto bene e posso raccontarlo. Oggi sta diventando una delle mie parole preferite. Oggi vuol dire vivere giorno per giorno. La sacca con le cellule era arrivata nel pomeriggio, le mie braccia erano un campo di battaglia. Non si trovava la vena per l'ago, un ago grande. Hanno chiamato un medico della rianimazione e mi ha fissato un catetere venoso nella femorale. Da lì sarebbe passata la nuova vita.

Oggi molte cose sembrano diffcili e faticose, così come ho sentito la fatica per quello che ho dovuto fare allora. Oggi sono un sopravissuto al cancro e al trapianto. Ricordo tutto, le parole, l'affetto, l'attenzione, le cure, i volti, la paura, la durezza. Ho avuto forza, una forza incredibile, così come la fortuna. Ho affrontato situazioni molto critiche: sentire le percentuali di sopravvivenza,  firmare il consenso informato (dove c'è scritto che si può morire), non vedere mio figlio piccolissimo, non abbracciare chi mi vuole bene e tutto il corredo del malato di cancro del sangue. Tutto però è servito e oggi sto bene. La malattia mi ha insegnato a mettere in ordine le cose, dalle più importanti alle meno importanti. A pensarci è il cervello senza bisogno dei punti elenco di powerpoint, senza argomentazioni troppo raffinate.

Al contempo però ti scopri fragile di fronte agli eventi della vita, quella con la minuscola, quella di tutti i giorni, quella vita che dai per scontata. Siamo sempre impreparati, così come si è sempre avuto fiducia in qualcuno e poi veniamo traditi, allo stesso modo la malattia arriva e non sei pronto. Il setaccio delle cose che contano si restinge sempre più, quello che rimane è l'essenza dell'affetto. Bisogna guardare quello.
E' diffcile da scrivere, e ripercorrere quei giorni è per me una sorta di redenzione: ricordare i sapori (alle 7 del mattino ho dovuto succhiare un ghiacciolo al limone per evitare, durante la chemio, che i funghi attaccassero la faringe) o del trattamento da fare ogni giorno dopo essermi lavato i denti, gli odori di disinfettante asettico, i rumori delle pompe che funzionano h 24, la luce che scendeva al tramonto, i punti che tirano sulla pelle.
E poi tutto il resto, il cibo implasticato, i dolori, la debolezza e la stanchezza. Quella sensazione di straniazione. 

La chemio ad alte dosi è devastante. Ti svuota dentro e ti rimbabisce fuori.

Ci sono stagioni della vita che ci sembrano, e sono, più faticose di altre, ti senti come se stessi camminando su l'asfalto fuso, ogni passo è una fatica. Non ti muovi e non ti rendi conto che tutto intorno a te è fermo. Immobile. Chi pensavi che ti potesse aiutare si dilegua e ti ritrovi con niente in mano.
Ce la menano con il merito la produttività, l'abnegazione. tutto giusto per l'amor del cielo, ma non è detto che se sei bravo e ti comporti bene alla fine avrai una ricompensa. Non è così nella vita, non è così nella malattia. C'è chi se ne frega degli altri che sta sempre bene, che pensa di essere immortale e non gli importa nulla di chi soffre e del male ch epossono fare le parole. Tutto il contrario degli affetti e dell'amicizia. Lì trovi quelli che si danno subito da fare per aiutarti. Capisci la differenza tra chi ti vuole bene, anche se non ti vede mai, e chi invece è indifferente anche se ti vede tutti i giorni.
Queste righe sono per voi, per quelli che mi vogliono bene. 
Su questo blog arrivano però anche in molti che cercano notizie sul Mieloma, su come si cura, su come funziona il trapianto di midollo, su quali sono le terapie migliori. Non ho risposte perché non sono un ematologo. Però vi dico di chiedere proprio agli ematologi, loro sono informati. Fatelo, fatelo, non aspettate.
Vi abbraccio tutti. 

lunedì 20 febbraio 2012

un altro giro

Un altro controllo, un’altra giornata all’istituto dei tumori. Un altro, l’ennesimo, sospiro di sollievo. I dati, i numeri spesso sono freddi e dicono e non dicono. Nel caso degli esami del sangue spiegano la differenza tra chi vive, chi sopravvive e chi invece, purtroppo, ha un destino segnato. Io sono uno di quelli che tecnicamente, come riportano le riviste mediche, è un sopravvissuto al cancro, al mieloma. A una brutta bestia che mi ha lasciato un sacco di segni addosso, dalle cicatrici dei cateteri, ai buchi dei prelievi, dalla piazza in testa alle ossa di vetro soffiato. E quando fa freddo e c’è brutto tempo, mi fanno male. Però, però, anche l’ultimo giro ha detto immunofissazione negativa. Il massimo per chi soffre di un cancro del sangue e ha fatto un trapianto di midollo osseo da un donatore non consanguineo. Queste prime righe sono il mio mantra per affrontare la vita di tutti i giorni. Dalle situazioni più semplici a quelle più difficili. Non dimentico mai da dove sono venuto, anzi i controlli e l’ambulatorio me lo ricordano sempre. Per chi non mi conosce, e mi vede abbastanza in forma posso sembrare un accompagnatore, in realtà molto di quello che stanno passando gli altri pazienti l’ho già provato sulla mia pelle. L’attesa, l’ansia, la paura non ti mollano mai. Anche quando esci. Il malato di cancro rimane tale , anche quando ha concluso la sua visita.

Ho conosciuto Gianni Bonadonna uno dei più importanti oncologi al mondo. Mi ha voluto conoscere dopo che gli avevo mandato il pezzo n. 101 del mio libro: quello sull'istituto dei tumori. E' stato un incontro emozionante,  che mi ha riconciliato con gli uomini. Come tutti i grandi, il grande guerriero Gianni non aveva bisogno di dire quasi niente. Mi ha fatto sentire subito a mio agio. La cura che ha messo a punto lui  per il infoma di Hodgkin è, dopo anni, ancora la più efficace a livello mondiale. A dirlo non è lui ma il New England Journal of Medicine, la più importante rivista medica del mondo. E' stato un bel momento che mi ha arricchito umanamente. Abbiamo parlato di tante cose, della malattia (lui conosce benissimo la mia), del Milan (non avevo sbagliato, è rossonero), di Milano, dell'oncologia e di libri. Lui è uno che ne ha scritti di importanti. Con noi c'era Roberta, una specie di angelo custode.
L'ultimo pensiero è per l'ambulatorio dell'oncologia pediatrica, un reaprto speciale, il più speciale di tutti, lo si intravvede dalla sala prelievi. Ogni volta che lo vedo penso alla forza di chi deve recarsi in quel luogo. E vedo i piccoli guerrieri giocare, sono loro, e i loro genitori, gli eroi, di questo mondo fatto di trend, di spread, di pil, di ammortizzatori sociali. Il significato della parola lotta è lì. Il resto sono tutte ..., va bé non voglio scrivere parolacce, ma avete capito. Per chi ha un figlio piccolo il coinvolgimento diventa esponenziale.
La vita mi ha riservato poi la pagella di Lorenzo, la sua prima pagella. Tutti bei voti, mi ha commosso sapere quali sono le sue prove con la vita, il confronto con gli altri. L'alzarsi tutte le mattine per andare a fare il suo dovere. E' stato speciale.
Sono andati in onda su raitre due interviste che abbiamo registrato giuliano e io in cui parliamo del nostro libro. Anche questa è stata un'esperienza particolare. Siamo andati sui luoghi in cui abbaimo ambientato alcuni dei nostri perché e ne abbiamo parlato. Sono venuti benissimo.
Il primo è sul sommergibile Toti e potete vederlo a questo link posizionandovi con il cursore al minuto 17 http://www.tgr.rai.it/dl/tgr/regioni/PublishingBlock-d1771bdd-3372-4621-b543-25e70b1cdb11.html?idVideo=ContentItem-00fbbd3c-7f34-4124-93e4-a937e1ea2ec7&idArchivio=Buongiorno  mentre quello sul quartiere dei fiori è questo  http://www.rai.tv/dl/tgr/regioni/PublishingBlock-d1771bdd-3372-4621-b543-25e70b1cdb11.html?idVideo=ContentItem-d3d41b9d-bd38-43ce-9b82-ed05e8a07b30&idArchivio=Settimanale il cursore in questo caso il cursore è da mettere sul minuto 16.30
Insomma tante cose belle, anche perché di quelle più complicate e menoo  divertenti mi sono stancato di parlare.
Un abbraccio a tutti quanti. E' un piacere sapere che ci siete.
Marco.