venerdì 12 ottobre 2012

Fino a qui: tutto bene

Ci risiamo, sono sceso dalla giostra e sino al prossimo giro starò tranquillo ad aspettare e a smazzare gli esami di routine.

Come sempre andare all'Istituto è un misto di rassicurazione e di tensione. Nei giorni precedenti il pensiero è fisso al palazzo di via Venezian. Ormai ci saprei arrivare anche bendato. Poi, dopo la visita, come è spesso successo negli ultimi tempi, la tensione si smolla. E io crollo di stanchezza.

In realtà non devo fare molto: accettazione; attesa; visita. una sequenza semplice, per cui non è necessario nè un diagramma di flusso né una slide di power point. Eppure è stancante da matti. In teoria sapendo già prima che gli esami vanno bene un piccolo sospiro lo tiro.
Ma la sera prima è sempre pesante. Bisogna svegliarsi e sbrigare tutto il rituale che ho messo a punto in ogni dettaglio. Porto a scuola mio figlio e poi prendo la 61. Un'oretta di autobus che attraversa tutta la città e arrivo. Mi fermo al bar dell'ospedale, poi faccio l'accettazione e infine lascio la mia impegnativa nella vaschetta fuori dalla stanza dei medici. E aspetto la chiamata 
La notte prima degli esami (del sangue, del midollo e di tutto il resto) è decisamente più faticosa, ma la visita arriva alla fine del ciclo per questo è insieme sfiancante e tranquilizzante. 
Ripercorro, prima di addormentarmi, tutto il tragitto. Provo a stemperare l'ansia. Ma è difficile. Ah come vorrei invece pensare che la mattina dopo dovrò andare a giocare a golf e poi verso le 11 inforcare la moto (magari una bella moto) e farmi un giro. Eppure per alcuni è davvero così, vanno  a letto pensando a quale ferro dovranno utilizzare il mattino dopo. Pensieri diversi che portano a punti di vista diversi sulla vita e sulla morte.
Per me dopo ogni controllo è come una vittoria sulla morte; per altri, quelli che giocano al golf, sarà solo un birdie da raccontare alla club house.

Sapere che l'immunofissazione è ne ga ti va, ha un prezzo altissimo. Quello che ho pagato in anni di visite e terapie. Un prezzo che è valsa la pena pagare. Un prezzo che mi ha consentito di festeggiare il compleanno di lorenzino: sono passati sette anni da quando mi hanno messo in mano un fagotto bianco di 3770 grammi. Impossibile da dimenticare. Da quel giorno ha incominciato a viaggiare insieme a noi. Sul seggiolino dietro. E' cresciuto, parla, mangia, legge, scrive, pensa, si diverte, ci fa arrabbiare. Per fortuna ho potuto vivere tutto questo anche senza moto bella e senza green. All'inizio è stato faticoso ma poi sempre più bello.
Stare bene, e sentirselo dire, quello si non ha prezzo. Tornare a casa dal controllo, rivedere chi ci vuole bene e dire loro "anche stavolta è andata" è una sensazione meravigliosa.  

Eppure la nostra felicità è minata nel profondo, non basta stare bene. Dobbiamo crescere, spendere, consumare, non possiamo goderci quello che abbiamo: la pace conquistata dopo un'esperienza faticosa, gli affetti, le cose buone, un bicchiere di vino, una passeggiata la mattina presto, un giro in motoretta, il drugo che ci racconta come si fa il white russian, il mare fuori stagione.
Dobbiamo arrivare, fare soldi, essere meritevoli, performanti. Si ho scritto performanti (una bruttissima parola). Non c'è spazio per i Bartleby, non ci si può accontentare, altrimenti si è dei perdenti. Perdenti?!! ma chi l'ha deciso?
Bisogna crescere, altrimenti ti togliamo anche quello che ti sei guadagnato. E' la solita storia dei forti con i deboli e dei deboli con i forti. E per non essere dei perdenti dobbiamo migliorare in nostro potere di acquisto.

Gli unici perdenti che conosco sono coloro che sono stati sconfitti (e non certo per volere loro) dalla malattia.  
Non mi stupirei se qualcuno arrivasse a dire che la sopravvivenza è questione di volontà, di palle, di intelligenza, di opportunità: di merito insomma.
Lo dico sempre i problemi sono problemi, non sono opportunità. Altrimenti gli ospedali oncologici sarebbero pieni di coach, di libri del tipo credi in te stesso, di carboni ardenti su cui camminare. E invece sono pieni di gente che sta male, che con le sue forze, le sue risorse prova a venirne fuori. No, il cancro, non è un'opportunità.

Quelli che ce la fanno sono più fortunati: non sono ne i migliori ne i peggiori.
La malattia non migliora e non peggiora nessuno: semmai ti fa vedere il mondo da un altro punto di vista. Un punto di vista, sia chiaro, cui si potrebbe arrivare anche senza rischiare la vita. Ma insegna molte cose su cosa è importante e su cosa non lo è.
Gli affetti sono fondamentali, quelli veri. Non quelli di plastica della televisione o che i mezzi di comunicazione ci fanno vedere tutti i giorni. Forse è esagerato, ma fino a un certo punto, dire che i malati di cancro sono tutti fratelli: ma per me è vero. L'esperienza condivisa è così forte che segna tutti. Non c'è bisogno di dire molto quando incontri un fratello, lui già sa. In più i fratelli sono quelli che sanno che per farcela bisogna si lottare ma anche avere fortuna. E sanno anche che per la meschinità, la furbizia, il piccolo cabotaggio, le miserie umane non c'è spazio. Il paziente non può fare il furbo con il cancro, altrimenti è come toccare i fili: si muore.
Al contrario nel mondo politico, in quello dell'impresa tutto questo è un valore.
In nome del guadagno e della avidità si perdono di vista i rapporti con gli altri. Provano a dividerci, tanto nel mondo del lavoro quanto a livello sociale. E alcuni sono contenti, ma bisogna stare attenti.
Finisco con una poesia di Bertolt Brecht che ben rende l'idea dei rischi che corriamo.
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.

Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.

Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.

Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.

Un giorno vennero a prendere me,
e non c'era rimasto nessuno a protestare.

(B. Brecht)

Da Brecht a Jannacci, per allegerire il finale e  per tutti i cuori rossoneri (un po' infranti in questo periodo) vi lascio con quest'altra citazione.
Zero a zero anche ieri 'sto Milan qui,
sto Rivera che ormai non mi segna più,
che tristezza, il padrone non c'ha neanche 'sti problemi qua.

Quest'anno siamo riusciti a fare peggio.

Vi voglio bene fratelli.





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