Immunofissazione negativa, assenza di malattia. Il controllo, l'ultimo che ho fatto qualche giorno fa, è andato bene. Il percorso non è mai facile, gli esami sono tanti e la fine del percorso è già di per sé un risultato. Quest'ultimo è stato in concomitanza con i sette anni dal trapianto. A visitarmi c'era chi mi ha seguito dal primo giorno in cui sono arrivato all'Istituto dei tumori: il dottor V., chiamato così anche su un libro che però non ho scritto io. Mi ha accolto come sempre con un sorriso rassicurante, e come sempre ha risposto a tutte le mie domande. Gli interrogativi, nella mente di chi ha vissuto direttamente l'esperienza del cancro e delle cure, ci sono sempre e ce ne sono sempre di nuovi. Avevo già visto gli esami e mi ero preparato le domande. Sono tornato nella sala d'aspetto dove ho trascorso un numero elevato di ore della mia vita. Anche questa volta sono rimasto colpito dalla forza, dalla compostezza, dalla dignità delle persone che aspettano. Il numero è aumentato con il tempo, la qualità della struttura attrae tanti pazienti. Al di là della retorica, il peggior nemico di chi parla e vive il cancro, il fatto di entrare in un posto dove salvano vite umane è un'elevazione per lo spirito. I medici, certo, fanno il loro lavoro e anche loro cercano le soddisfazioni nella loro professione come tutti noi e non possono avere un trasporto affettivo per i loro pazienti. Però non ho mai avuto la sensazione di essere solo un numero, neppure ora che, per la privacy, all'altoparlante ti chiamano citando una cifra e non più il tuo cognome. Ciò che conta è quello che avviene dietro la porta dell'ambulatorio. La realtà, per alcuni, è davvero difficile, ma chi gliela sta raccontando cerca di farlo sempre nel migliore dei modi. Certo che passa una bella differenza tra chi salva le vite e chi invece le vite le rovina. A volte mi chiedo come si addormenti uno che pensa: "oggi ho permesso a un mio paziente di poter stare con la sua famiglia. O come è successo a me, di abbracciare mio figlio piccolo ogni volta che voglio. Penso sia una bella sensazione. Tutto il contrario di quelli che cercano di fottere il prossimo, nel lavoro, nella vita di tutti i giorni, nella fila alla cassa del supermercato, al parcheggio.
Ho ripensato a quando ero io a stare male e a seguire le terapie: quelle che per me erano innovative ora sono diventate uno standard. Così ho ripensato a chi era in stanza con me e ora non c'è più, ma mi diceva sempre "tu hai un figlio piccolo è meglio che sia tu a stare bene", insomma affetto puro che non dimenticherò mai.
Il mio legame con l'Istituto è sempre più solido e frequente, per questo dico che è importante donare il 5x1000 all'Istituto dei tumori di Milano (due anni fa ho partecipato anche allo spot) e donare il midollo. Per salvare le vite serve tutto tranne il cinismo di certa gente.
Vi voglio bene.
ps ho iniziato a scrivere un libro su tutta questa incredibile vicenda che ho vissuto e se qualcuno conosce un editore che potrebbe essere interessato a pubblicarlo mi farebbe piacere se mi contattasse.