sabato 7 novembre 2015

La vita salvata, la felicità e l'immunofissazione negativa

Ci penso spesso, tutti i giorni. A come sto. E ci penso ancora di più dopo il controllo.
Sentirsi dire che le cose vanno bene dai tuoi ematologi è una sensazione speciale e irripetibile.
Per quante volte lo abbia, fortunatamente, sentito non mi basta mai.
Esco dalla stanza e mi sento vicino alla felicità; che si compie nella sua interezza quando lo posso dire a chi mi vuole bene: la mia famiglia, quelli su cui faccio affidamento. 
So perfettamente che non è scontato, come so che da quella stessa stanza c'è chi esce soffrendo perché ha avuto notizie non positive.
A soffrire sono in tanti.

Non esiste un'unità di misura della felicità: o c'è o non c'è. Non mi interessano le consolazioni: la felicità non è fatta di cose, grandi o piccole che siano, è fatta di anima, della nostra anima e di tutte le anime che sentiamo vicine. 
Non ha una misura ma ha un sinonimo, per me quel sinonimo è immunofissazione negativa o anche remissione completa.

Ogni volta,quando devo rientrare all’Istituto per gli esami e per le visite, ripercorro, mentalmente, tutti i passi che ho compiuto sino a quel momento, uno dopo l'altro.
Mi ricordo tutto, dalla prima volta al giorno prima dell'ultima visita fatta. Alle volte che ho visto i miei dottori e alle volte che mi hanno curato e rassicurato. E, insieme al mio donatore, salvato la vita.
E naturalmente ripenso all'alternativa, quella che non lascia scampo. 
E' come a testa o croce, non esiste il pareggio: o ce la fai o non ce la fai. Punto. 
Per questo ogni giorno di vita è un giorno importante.

Penso a quanta energia e forza ci mettono tutti quelli che sono in cura per il cancro: non c'è scelta, devi lottare per forza. Senza, prima, sapere come finirà.

Penso ai guerrieri, grandi e piccoli, che combattono pacificamente: ai guerrieri che non fanno male a nessuno. Ma non per questo sono meno grandi. Alcuni li vedo e basta, altri e altre li conosco personalmente. Posso immaginare cosa provano, per questo a loro voglio bene.

Siamo fragilissimi. Tutti. I sani, i malati, gli ex malati. 

C'è chi se ne rende conto e chi no; ci sono coloro che si sentono onnipotenti perché sono riusciti a ingannare il prossimo e ci sono coloro che provano a migliorare la vita degli altri.
Ho conosciuto entrambe queste tipologie di esseri umani: chi ha sfregiato le anime con un gesto o una parola, e chi ha donato (il midollo o anche solo un sorriso) e ha salvato qualcun altro.

Sul fatto che siamo tutti uguali nutro più di qualche dubbio.

Kant scrisse: "Date a un uomo tutto quello che desidera e nonostante ciò, proprio in questo istante, egli sentirà che tutto non è tutto". 

Il grande filosofo aveva tracciato prima di Pasolini, di Dalla e De Gregori ("cosa sarà che ci fa comprare di tutto, anche se è di niente che hai bisogno, cosa sarà che ti strappa dal sogno"); di Mary Douglas, di Sennet e del marketing contemporaneo la linea di demarcazione sulla felicità del possesso, del profitto e dell’accumulo. Teorizzando l'esistenza dell'infelicità da mancanza.
La creazione dell’insoddisfazione come ragione del consumo ci ha fatto perdere di vista cosa veramente dovremmo desiderare.

Beh, per me è molto semplice, dovremmo desiderare di stare bene di salute, di essere sicuri che ci vengano assicurate le cure migliori.

E' la salute che ci permette di amare, di lavorare, di affrontare la vita con dignità e di cercare la nostra personale felicità.

Lo sa bene chi non sta bene, chi ha perso la salute, chi si sta curando.
Chi tutti i giorni ha un controllo da fare, chi la sta cercando.

Voglio ricordare Gianni Bonadonna, un grande ematologo italiano. 
Ero andato a trovarlo qualche tempo fa e mi aveva mostrato, insieme a i suoi collaboratori, la piccola storia di come hanno messo a punto la cura per il linfoma di Hogdkin. Cura che ha salvato molte vite. La sua grande umanità non potrò dimenticarla. Lui è un altro che mi ha fatto toccare la differenza tra dolce vita e la salvezza.

E poi Pino...


Quell’autostrada è un muro
Pieno di felicità
Ed io rimango sveglio
Cercando qualcuno
che vuole fumare a metà
E correndo te ne vai
Chiudi gli occhi e non ci sei
E hai voglia di un caffè
Che ti tiri un po’ più su
Ma che vuò cchiù
Ma che vuoi
se tutto non è come sei
Ma che vuò cchiù
Ma che vuoi se non respiro mai
E non so che giorno è
Mi sconvolgo sempre un po’
Per gridare qualche nome che
Ho inventato e non lo so
Ma che vuò
che vuò cchiù
Il feeling è sicuro
Quello non se ne va
Lo butti fuori in ogni momento
E tutta la vita sai
di essere un nero a metà
Mentre il buio se ne va
Ti ritrovi a testa in giù
Perché hai dato sempre tanto
E adesso nun ‘o tiene cchiù
Ma che vuò cchiù
Ma che vuoi se tutto non è come sei
Ma che vuò cchiù
Ma che vuoi se non respiro mai
E non so che giorno è
Mi sconvolgo sempre un po’
Per gridare qualche nome
che ho inventato e non lo so
Ma che vuò
che vuò cchiù
no .. no ..

Ma che vuò
che vuò cchiù



Pace e salute per tutti i fratelli. 


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la mia esperienza con il mieloma raccontata in un filmato su youtube https://www.youtube.com/watch?v=UlHYZ60gkqc

Questo è il mio libro di cui è uscita la ristampa 101 perché sulla storia di Milano che non puoi non sapere

@mda1966 

giovedì 3 settembre 2015

101 perchè sulla storia di Milano che non puoi non sapere


Oggi esce la ristampa del libro su Milano 101 perché sulla storia di Milano che non puoi non sapere che ho scritto insieme a Giuliano Pavone sulla mia città. Edito da Newton Compton

Qui sotto metto il testo del numero 101, quello che chiude il libro e riguarda la mia esperienza con l'Istituto dei Tumori di Milano. 


101. Perché a Milano si può tornare a vivere


In via Venezian, nel 1925, iniziò la storia dell’Istituto nazionale per la cura e lo studio dei tumori. Il fauto­re dell’iniziativa, dopo aver già fondato l’università, fu il sindaco di Milano Luigi Mangiagalli, un medico illuminato. Il progetto fu finanziato, incoraggiato e so­stenuto dalla borghesia milanese del tempo e dal «Cor­riere della Sera» del direttore Luigi Albertini.
Il legame con la città fu immediatamente forte.
Durante il consiglio comunale del gennaio 1925 il sindaco sottolineò l’importanza, per la città, di dotarsi di un centro all’avanguardia per lo studio dei tumori. Fu così deliberata la costruzione di un nuovo ospedale che venne intitolato al re Vittorio Emanuele iii. Da quel momento non si è mai smesso di affrontare il cancro con l’obiettivo di curarlo, di batterlo. A qualunque costo, come fece Pietro Rondoni, il direttore di quel luogo di cura, durante il periodo dell’occupazione nazista. Le ss si presentarono in via Venezian per sequestrare il radium (il metallo scoperto da Marie Curie) utilizzato per curare il cancro. Il dottore ne aveva nascosto una quantità, che serviva alla ricerca, nella cassetta di sicurezza di una banca. Al cospetto dei tedeschi si mise a parlare nella loro lingua, prese tempo, ma poi fu portato al comando. Alla fine, però, salvò il prezioso metallo.
Le storie dell’Istituto sono tantissime, una per ogni pa­ziente curato in questo centro e una per ogni persona che vi lavora. In tempi recenti, una rivista americana ha sentenziato che Milano sarebbe stata conosciuta nel mondo non solo per la Scala ma anche per l’Istituto dei tumori.
Entrarci e vedere pazienti e medici coalizzati per il rag­giungimento dell’obiettivo è un’esperienza per l’anima.
A questa struttura devo la mia vita. Mi sono accorto dopo un intervento alla testa di avere un cancro del sangue che attacca il midollo osseo (mieloma). Il vetrino prima e l’esame istologico poi non hanno lasciato alcun dubbio. Per un po’ non è successo niente, in seguito, in uno dei controlli periodici, i valori del sangue sono impazziti. È a quel punto che mi presentai nel reparto di Ematologia con una diagnosi pesantissima, e poche e disordinate informazioni sulle cure. Le percentuali di guarigione mettevano i brividi.
Iniziò così il mio rapporto con l’Istituto. Ci sono tornato decine e decine di volte, e in ogni occasione c’è sempre stato chi mi ha seguito con attenzione e professionalità. Ma ho trovato anche qualcosa di più: la passione di chi mi curava. Sono stato ricoverato spesso, anche per i due autotrapianti e per il trapianto da donatore non consan­guineo di midollo osseo. Il protocollo della cura è molto lungo e faticoso. Per fortuna ho avuto subito i farmaci intelligenti, quelli in grado di curarmi senza affaticare il midollo. Per il trapianto da donatore la procedura è stata molto complessa; in America, a un donatore ano­nimo (che mi ha salvato la vita), sono state prelevate le cellule staminali emopoietiche. Appena dopo il pre­lievo, un corriere è partito dall’ospedale del Minnesota con destinazione via Venezian. Aerei, aereoporti, metal detector e una sacca, la sacca della vita hanno com­piuto un lungo tragitto. Arrivata in ospedale, la sacca è stata analizzata e poi attaccata al tubo. Io ero stato condizionato (si dice così) con una chemio ad alte dosi. Tutto andava spazzato via. Ero in una stanza sterile as­solutamente priva di contatti con l’esterno. Il cibo era sigillato, gli infermieri potevano entrare solo con le ma­scherine e i parenti uno alla volta. Ero debolissimo e in più non potevo vedere mio figlio, nato da pochi mesi: arrivato durante le terapie, ha dato un motivo in più, a me e a mia moglie, per andare avanti.
In tanti anni di frequentazione ho visto storie durissime, alcune finite bene, altre finite e basta. Ho imparato che siamo artefici del nostro destino sino a un certo punto, ho imparato a distinguere la pochezza umana dal cuore di chi patisce la malattia. A farmi più impressione di tutto è stata la pediatria oncologica, reparto di super eccellenza dell’Istituto, come quello dove sono in cura io. I bimbi pallidi e senza capelli ti fanno piangere solo a pensarci. Ma i piccoli guerrieri spesso ce la fanno.
L’ambulatorio è sempre pieno di persone, di pazienti e di parenti dei pazienti. Tutti aspettano il loro turno per sapere se hanno risposto alla terapia – e avere una ras­sicurazione – oppure apprendere di una situazione dif­ficile. La forza per resistere viene da dentro, e non te la insegna nessuno. A sopravvivere all’inferno si impara, e si prova a uscirne. Non ci sono corsi di motivazione, di autostima, non c’è bisogno di camminare sui carbo­ni ardenti. Basta andare all’Istituto a vedere chi soffre. Uomini, donne, bimbi, giovani, anziani: tutti lottano. Quello che mi è successo poteva accadere a chiunque, mentre quello che è stato fatto per me (e per tutti gli altri malati) è impossibile da dimenticare. Nel bene e nel male. Dopo ottant’anni l’Istituto è là a rassicurarci.
Per me è stato bellissimo poter partecipare allo spot per la raccolta del 5x1000 e portare la mia testimonianza.

Sofferenza, gioia, pazienza, stima, amicizia sono senti­menti, per dirla con Dante, «che ’ntender no la può chi no la prova».

GRAZIE A TUTTI
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giovedì 28 maggio 2015

CHEMIO

La chemio ti mangia e ti distrugge. La chemio non si ferma. La chemio è il nemico che ti salva. La chemio è dura. La chemio è la goccia che scende. La chemio è il rumore della pompa. La chemio ti denuda davanti agli altri, la chemio ti fiacca. La chemio non è una bella sensazione. La chemio è la strada in salita. La chemio è una scommessa. La chemio è anche ad alte dosi. La chemio ti ghiaccia le vene e la bocca. Ma la chemio non dura per sempre, prima o poi finisce. E i capelli tornano a crescere, e i visi, a volte, tornano a sorridere.
Chi l’ha provata sa di cosa parlo.
Un pensiero a tutte e tutti coloro che sono (o che sono stati) attaccati a una pompa per la chemio.

sabato 18 aprile 2015

Nove anni e l'immunofissazione è sempre negativa.

Ciao fratelli,
Sono passati nove anni dal giorno in cui sono arrivate le cellule staminali dal Minnesota e in cui ho fatto l'allotrapianto, quello che mi ha salvato la vita.
Il 18 aprile 2006 sono nato per la seconda volta, dopo Lorenzo, mio figlio.

Proprio in questi giorni ho fatto i controlli periodici all'ematologia per la ridefinizione della malattia: Mieloma.

Remissione completa confermata e immunofissazione sempre negativa: Tutto bene.

Il giro è stato lungo, mi hanno rivoltato come un guanto: cuore, polmoni, spina dorsale, esame dell'osso e del midollo, esami del sangue e delle urine. Infine la visita con i miei dottori (tra cui il dottor V., uno cui voglio troppo bene).

Nell'imminenza  del giorno in cui devo recarmi in Istituto un po' di ansia ce l'ho sempre, ho sempre il timore che qualcosa non vada per il verso corretto. Un ritardo, uno spostamento, qualcosa che si disallinea. Per fortuna invece gli ingranaggi si sono incastrati l'uno dentro l'altro.

Cerco di affrontare i vari passi con calma, ma la sensazione è quella di giocarsi tutto ogni volta.

Me ne rendo conto nella sala d'attesa, mentre aspetto che chiamino il mio numero vedo gli altri pazienti, non li conosco ma posso immaginare i loro pensieri, i loro timori, le loro inquietudini.
Vedo i loro affetti stringerglisi intorno. Vedo anche sorrisi, persone che hanno ritrovato la serenità. Tutti, ma proprio tutti, lottano. E la loro compostezza e la loro dignità mi accompagnano.
Sento la solidarietà tra pazienti rafforzarsi: tutti aiutano tutti. Anche solo con una parola.
Questo non cambia mai.

Ci sono però stati dei cambiamenti nella mia vita, soprattutto lavorativa.
La società per cui ho lavorato per oltre 14 anni è fallita e noi, io e i miei colleghi, siamo stati licenziati.
Il curatore fallimentare ha chiamato i reduci (altri erano già stati "dismessi" prima del fallimento). Uno per uno, e in fila davanti a lui, davamo il nostro nome e cognome affinché potesse compilare, a mano, la riga del nome del lavoratore sulla lettera di licenziamento. E' stato triste e altrettanto tristi sono state le vicende che sono seguite. Con i sommersi e i salvati.
E ho pensato che ci sono persone che facendo bene il loro lavoro (il personale dell'ospedale dove mi curano) e essendo altruiste (chi mi ha donato il midollo, voce del verbo donare: dare senza chiedere nulla in cambio) mi hanno salvato la vita. Si la vita, quella cosa li per cui oggi posso scrivere questo blog.
Qualcun altro invece, facendo male il proprio lavoro, la vita un po' me l'ha danneggiata. E non solo a me.
Ma lo sappiamo gli uomini non sono tutti uguali.
I mesi vissuti insieme a tutti i miei colleghi sono stati difficili ma tutti hanno fatto il loro dovere sino all'ultimo minuto.

E' arrivata, poi, una seconda possibilità. E adesso lavoro da un'altra parte.
Mi sono ritrovato in un gruppo incredibile, fatto di ragazzi giovani e molto bravi.  Mi hanno accolto subito con entusiasmo.

Finisco con un pensiero per chi non scappa e affronta il cancro accompagnato da chi lo ama e da chi lo cura e si torna un'altra volta agli uomini.
E a Kipling e alla sua celeberrima  poesia che ha sempre qualcosa da insegnarci

SE

Se saprai mantenere la testa quando tutti intorno a te
la perdono, e te ne fanno colpa.
Se saprai avere fiducia in te stesso quando tutti ne dubitano,
tenendo però considerazione anche del loro dubbio.
Se saprai aspettare senza stancarti di aspettare,
O essendo calunniato, non rispondere con calunnia,
O essendo odiato, non dare spazio all'odio,
Senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare troppo saggio;

Se saprai sognare, senza fare del sogno il tuo padrone;
Se saprai pensare, senza fare del pensiero il tuo scopo,
Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina
E trattare allo stesso modo questi due impostori.
Se riuscirai a sopportare di sentire le verità che hai detto
Distorte dai furfanti per abbindolare gli sciocchi,
O a guardare le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,
E piegarti a ricostruirle con i tuoi logori arnesi.

Se saprai fare un solo mucchio di tutte le tue fortune
E rischiarlo in un unico lancio a testa e croce,
E perdere, e ricominciare di nuovo dal principio
senza mai far parola della tua perdita.
Se saprai serrare il tuo cuore, tendini e nervi
nel servire il tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tenere duro quando in te non c'è più nulla
Se non la Volontà che dice loro: "Tenete duro!"

Se saprai parlare alle folle senza perdere la tua virtù,
O passeggiare con i Re, rimanendo te stesso,
Se né i nemici né gli amici più cari potranno ferirti,
Se per te ogni persona conterà, ma nessuno troppo.
Se saprai riempire ogni inesorabile minuto
Dando valore ad ognuno dei sessanta secondi,
Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa,
E — quel che più conta — sarai un Uomo, figlio mio!

Pensate agli uomini e dimenticate i quaquaraquà.

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