mercoledì 30 novembre 2011

qui c'è quello che avevo messo su Splinder


martedì, 15 novembre 2011
Controlli ok, immunofissazione negativa, midollo a posto. Come incipit per descrivere il mio stato d'animo dico che non è affatto male. Anzi. Da qui poi parte tutto. Abbiamo presentato il nostro nuvo libro alla Fnac di via Torino lunedì 7 novembre. Nonostante lo sciopero dei mezzi è venuta tanta gente. Grazie a tutti. Un sacco di persone che mi vogliono bene erano lì davanti a me. Ci siamo seduti sulle sedie dove passano le superstar della letteratura, della musica e del cinema. E' stato speciale.



E' venuto Carlo Baroni del Corriere e ci ha fatto un'introduzione davvero particolare.



Insomma eravamo contenti di tutto.



Ci saranno anche altre presentazioni a breve. Così chi vorrà potrà venire. A me fa piacere.



Questa è la recensione da corriere.it
http://milano.corriere.it/milano/notizie/arte_e_cultura/11_novembre_9/libro-storia-101-perche-storia-milano-1902102928628.shtml



e qui c'è l'introduzione del libro "101 perchè sulla storia di MIlano che non puoi non sapere"





Una città in 101 perché. Piccole e grandi storie che insieme fanno la famosa Storia con la S maiuscola. Per raccontare Milano, metropoli complessa, sedimentata, in continua trasformazione e perciò spesso difficile da interpretare, forse non c’era altro modo che scomporla in un elenco di domande, stimolanti e di immediata fruizione. Per poi scoprire – essendone sorpresi noi per primi – che di cose da dire su questa grande città ce ne sono sempre tante.


Personaggi, luoghi, eventi: ogni perché? cela uno spunto diverso. E il gioco è stato quello di miscelare mostri sacri e icone pop, monumenti celeberrimi e angoli nascosti, fatti storici epocali e semplici curiosità. Con la convinzione che questo insieme vivace e disordinato riesca in qualche modo a trasmettere l’attuale spirito della città. O perlomeno con la speranza che la lettura del libro restituisca il divertimento e la soddisfazione che abbiamo provato noi nello scriverlo.


Va detto che siamo una coppia di autori abbastanza atipica. Rispecchiamo due approcci differenti verso Milano: quello di chi vi è nato – e pensava di sapere molto di questa città – e quello di chi vi è arrivato alle soglie della maggiore età, con un po’ di "arretrati" da recuperare ma anche col bagaglio critico offertogli dal termine di paragone con altre realtà. Ma in fondo questa composizione "meticcia" non è essa stessa profondamente e autenticamente milanese?!


In questo lungo viaggio, dalla fondazione ai giorni nostri, ci siamo resi conto che Milano è stata sempre all’avanguardia: dalla tolleranza religiosa sino alla vendita degli elefanti; dalla nascita dei partiti e dei movimenti politici sino alla loro fine; dall’architettura alla comunicazione; dal Nobel per la pace a quello per la letteratura, passando per quello per la chimica e quello per la fisica. Solo che a volte – un po’ per modestia, un po’ per distrazione – sono proprio i milanesi i primi a dimenticarsene. E di conseguenza a non capire più la propria città, e a smettere di volerle bene. Ora hanno 101 motivi in più per non farlo.



M.D. – G.P., settembre 2011















 


mercoledì, 28 settembre 2011

Settembre è diventato un mese speciale, in cui mi sono successe un sacco di cose:

Lorenzino ha iniziato ad andare a scuola, il primo giorno ero più emozionato di lui. In mezzo alla calca di genitori e bimbi, lo vedevo, piccolo ma anche grande. Un passaggio fondamentale nelle nostre vite, nella sua ma anche nella mia. Le sensazioni si sono mischiate tutte insieme e non riuscivo più a distinguere l'affetto dalla gioia, i brividi dalla realtà. Adesso ha già iniziato le attività  e il tempo pieno. Scrive, disegna, ci racconta quello che succede, quello che gli piace e quello che non gli piace. E' l'inizio di un periodo di scoperte per lui ma anche per la sua mamma e il suo papà. Ha iniziato a mettere il grambiule e adesso si che mi rivedo in lui a salire lo scalone della scuola quando avevo la sua età. (mi rivedo perché la scuola è la stessa e poco esteriormente è cambiato).

Lui non è solo la nostra forza, ma la rappresentazione della forza e della capacità che ha un tipo alto 114 cm di galvanizzarci tutti.



Ho fatto gli esami per i miei controlli e quelli che sono già pronti non indicano nulla, tutto sembra essere a posto. La formula dubitativa è sempre d'obbligo. Aspetto di fare la visita e i risultati di quella che si chiama BOM: biopsia osteomidollare. Ti fanno un buchino all'altezza del bacino, infilano uno strumento e tac, prendono un pezzettino di osso. Non è la fine del mondo, ma neanche tanto divertente. Il bruciore e il dolore rimangono per qualche giorno. E anche questa, quella di sapere che l'immunofissazione è negativa è una gran bella sensazione. Sono sempre un paziente e mi sono mischiato insieme agli altri pazienti dell'istituto e ho fatto il mio prelievo del sangue (ho perso il conto delle volte che l'ho fatto), le vene sono sempre più secche e difficili da trovare. Ma poi riempio, da bravo, le mie 4 provette.

E' dura vedere chi sta mettendoncela tutta. Ogni volta che torno dall'istituto, messa da parte l'emotività di quello che significa per me tornare lì, ragiono sulla vita. Sulle cose che si dicono.

Sulle persone che le dicono, sulle teorie. In particolare ci sono un paio di cose su cui ho ragionato: ad esempio vorrei prendere tutti quelli che dicono che i problemi possono essere trasformati in opportunità, li vorrei prendere e portare all'istituto dei tumori per dire loro "guardate questa gente, tutti hanno un problema, si chiama cancro", alcuni moriranno e alcuni si salveranno. Dov'è l'opportunità per queste persone?

Mi si obbietterà che il contesto è sbagliato che non si può portare tutto a conseguenze così estreme, io ribatto che prima di dire certe cose bisogna pensarci. Sono tutti aggressivi, motivati, magari hanno seguito qualche corso in cui ti nsegnano a licenziare qualcuno "ma con le parole giuste,  ci mancherebbe altro", magari hanno camminato sui carboni ardenti, magari hanno urlato tutti insieme. Mi domando come mai, se questi corsi sono così efficaci, perché non si tengano negli ospedali. Per motivare i malati a guarire, a uscire dall'inferno. Semplice perché la condizione di malato di cancro è diversa da quella di un manager da copertine anni 80 (avete presentel a barattini tenti di yuppies 2?).

Va be non voglio essere troppo acido.



La casa editrice ha confermato cha a inizio novembre uscirà "101 perchè sulla storia di Milano che non puoi non sapere", sempre per Newton Compton. Questo terzo libro l'abbiamo scritto insieme io e Giuliano (Pavone). Sono 101 storie su  Milano, alcune molto note e molto serie, altre più divertenti e meno conosciute. Praticamente ho "comprato una vocale" e al milan ho aggiunto la "o". Scrivendolo ho imparato un sacco di cose e altre me le ha insegnate, con passione, l'editor che ha seguito il libro.



grazie a tutti.

Marco



 

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lunedì, 18 aprile 2011



Oggi ho compiuto cinque anni. Ho due vite una iniziata come tutti quando sono venuto al mondo e una cominciata il 18 aprile 2006, quando ho fatto il trapianto di midollo osseo da donatore non consaguineo. E oggi 18 aprile 2011 sono tornatao all'Istituto Nazionale dei Tumori per girare lo spot  che chiede di donare il 5 x 1000 per la ricerca sul cancro. Potete vederlo qui
http://www.youtube.com/watch?v=E8jdP6Eb_f4



E' stata un'esperienza speciale, io e altri due pazienti abbiamo raccontato, davanti a una telecamera, cosa ci è accaduto e come siamo stati curati. Ognuno concludeva con un'idea del futuro, sì perché il messaggio è che c'è un futuro. Magari non sono veri e proprio progetti, la malattia insegna a vivere giorno per giorno, ma quello che è importante è prendere coscienza che si possono fare delle cose. Preferibilmente belle. Tutti e tre siamo stati uniti, tutti e tre abbiamo condiviso la strada che ci ha tirato fuori dall'inferno. A guidarci i medici e il personale dell'Istituto.



L'esperienza e la forza sono state grandi. Nessuna competizione, nessuna lista, nessuna sintesi. Dovevamo solo esprimerci e non è poco in un mondo dominato dalla sintesi, dalla fretta, dai punti elenco. Nessuno scrive più tutti sintetizzano, liofilizzano, omonogeizzano.



Noi abbiamo parlato, poi è stata presa una frase di ognuno e montata nel filmato finale, pochi secondi ma molto vivi. Non smetteremo mai di essere pazienti, e questo lo sappiamo benissimo, tuttavia poter fare qualcosa per gli altri, per chi aspetta mi ha fatto piacere.



Lo stato d'animo era molto diverso rispetto a quando si va in istituto per il controllo. C'è sempre un verdetto, buono  o cattivo. Varcare la porta dello studio medico è ogni volta un sussulto, anche per il più banale dei fatti. Quanti sono quelli che attendono di entrare e non sanno se hanno risposta a una terapia oppure se la situazione è diventata più seria. Dentro poi ci sono i medici, i "miei" dottori, sempre professionali. Alcuni sono con me dall'inizio della storia,  qualcuno/a di loro ha cambiato ospedale anche di recente, ma per me rimangono tutti "miei".



Lorenzino cresce e noi con lui.

un abbraccio a tutti.



 


lunedì, 14 febbraio 2011
Per conoscere l'inferno, devi esserci entrato dentro



Eccomi qua, dopo qualche mese e un altro controllo. Anche questa volta è andata, è andata bene.





Come sempre le sensazioni sono difficili da decifrare, un misto tra terrore e rassicurazione. E tanta forza. Ogni controllo è sempre un punto zero, è come nei videogiochi, ogni visita è una nuova partenza, faccio il pieno di vita. Poi esco dall'ospedale e mi rendo conto di quello che c'è intorno a tutti noi. La bellezza e la dolcezza delle cose semplici: quelli che escono la mattina presto e accompagnano i figli a scuola, che li baciano prima che entrino in classe; quelli che aspettano un autobus che non arriva mai, le mamme che quando escono dal lavoro corrono dai loro bimbi. Quelli che si accontentano della vita normale ma hanno una spina dorsale dritta. Mentre non mi piacciono quelli per cui tutto è sfida, per cui loro sono dei ganzi e noi siamo dei pirla. Quelli che sono sempre a fare confronti, quelli che pensano sempre che sono i più bravi. Quelli che devono programmare tutto, che non sanno vivere giorno per giorno. La programmazione degli eventi è una sfida al destino (o a dio) si vuole esorcizzare qualcosa. Non che io sia per una vita strampalata, però so che il caso (o la sfiga) hanno un bel peso.  Non so, appunto, se chiamarla fortuna o destino o fede o imponderabile, ognuno scelga. Però so che c'è. O forse, o meglio, è semplicemente la capacità di pensare che condensa tutti questi aspetti insieme. Chi pensa, sa che nella vita a volte sei tu mangi l'orso e a volte è l'orso che mangia te.



Penso a tanti generali che comandano e che pensano di comandare, ma come diceva Brecht (eh si mi rendo conto che qui vado nel territorio della milva e di strelher):


Generale, il tuo carro armato è una macchina potente


spiana un bosco e sfracella cento uomini.


Ma ha un difetto:


ha bisogno di un carrista.






Generale, il tuo bombardiere è potente.


Vola più rapido d'una tempesta e porta più di un elefante.


Ma ha un difetto:


ha bisogno di un meccanico.






Generale, l'uomo fa di tutto.


Può volare e può uccidere.


Ma ha un difetto:


può pensare.






Ecco, forse, siamo in tanti a pensare che le sfide sono quelle quotidiane, quelle di volere bene a chi ci vuole bene, quelle di conciliare le nostre passioni con la vita di tutti i giorni. A pensare che siamo capaci di pensare e che non abbiamo bisogno di sentirci ammansiti dai complimenti.



I nostri figli non hanno bisogno di farci i complimenti, sanno che gli vogliamo bene, lo sentono. Lo stesso avviene con gli amici. Non è così invece in molti altri ambiti.


Non bisogna cascare nell'errore di sentirsi inadeguati perché ce lo dice qualcuno. Non bisogna pensare di essere presuntuosi se critichiamo qualcuno, poi bisogna vedere chi è questo qualcuno. .


Spesso sono i mediocri a tranciare giudizi.


E' uscito il mio libro nuovo e, quando giro per le librerie, sono felice di vederlo. E' il compimento di una passione, una passione coltivata grazie alla mia banda di famigliari e amici. Ho avuto anche una recensione dal corriere della sera (sono orgoglioso).

Abbiamo fatto una presentazione  meravigliosa con Giovanni, Giuliano e Luca, molti che leggono il blog c'erano. E' stato un momento speciale così come pieno di adrenalina è stato firmare le copie. Io lo sognavo, vedere tanti che mi vogliono bene intorno a me e per me oer un momento bello. Al contrario sono dispiaciuto per chi ha avuto paura a farmi un in bocca al lupo, del resto, non mi stupisco. Ci sono molte persone per cui siamo trasparenti, hanno occhi solo per chi va bene a loro, e questi che gli vanno bene devono stare sempre bene e, naturalmente, gli viene sempre (anche solo come intercalare) chiesto come stanno. A quelli che invece stanno male veramente non viene chiesto mai.



Un pensiero a tutti quelli che aspettano qualcosa (magari il midollo) da qualcuno. Mica male come obbiettivo eh: quello di salvarsi la vita. Per vedere poi gli esami che dicono immunofissazione negativa: una delle cose più belle del mondo. Una di quelle cose che ti permette di godere del resto e arrivare alle porte del cosmo (questa è di finardi).  Un pensiero, altrettanto forte, va a chi non c'è più e ai loro familari, soprattutto a quelli dichi mi voleva bene, fumava il toscano e non era tifosi di Dida





A tutti coloro che sono "bravi" a governare la complessità, ricordo che sono fortunati, tutti quelli che sanno ocme si fa e leggono i manuali per essere motivati, dico le solite due cose: 1) non smettete mai di ringraziare per il fatto che state bene. 2)  rispettate tutti quelli che vi stanno intorno. Purtroppo però non lo capiscono.



Grazie a tutti (e grazie ai miei dottori).



Marco
mercoledì, 10 novembre 2010
Esce, esce, esce l'11 novembre esce in tutte le librerie il mio nuovo libro. Naturalmente mi fa piacere e condivido tutto qui, sul blog, con tutti quelli che lo leggono e che, nel tempo, ci sono capitati dentro.



Nel libro si raccontano 101 gol e qualcosa di più. Si racconta come alcuni gol siano stati vissuti dai milanisti, da me e da chi era con me in alcune occasioni. In pratica sono 101 racconti, inoltre, come mi è già capitato di dire spesso, citando il grande Pedro Almodovar: "tutto quello che non è autobiografico è plagio" e dentro questo libro c'è anche qualcosa di me.



Le cose belle della vita (stare bene con la mia famiglia e i miei amici) e quelle meno belle (parlo di roba seria, non del parcheggio riservato, dell'Iphone o del Blackberry, del sentirsi importanti anche se non si conta niente).

"If you have nothing, you have nothing to loose". Nel libro si parla anche dell'esperienza del cancro, non troppo ma se ne parla. Questa esperienza è una parte di me.



Gli ultimi controlli, con tanto di immunofissazione e esame del midollo sono andati bene e anche i miei dottori credo stiano bene. Loro sono sempre nella mia testa, domenica 7 era la giornata della ricerca sul cancro e Elisir, su raitre, faceva una trasmissione speciale. Qui si poteva intervenire in diretta telefonando. Ho chiamato e sono andato in onda, ho avuto solo pochi secondi ma sufficienti per dire che ringraziavo l'istituto dei tumori di milano e che bisognava donare non solo i soldi per la ricerca ma anche il midollo osseo. E' stato emozionante.







Mercoledì 17 novembre alle 22:35  con  repliche: il 18/11 alle  18:25, il  21/11 alle 10:50 e il  24/11 alle 15:00



Andrà in onda una mia intervista sul canale del digitale terrestre di Mediaset Premium JOI su "la cognizione del dolore", non è un'intervista letteraria (Gadda ispira solo il titolo) . L'intervista è un "Joi extra" che andrà in onda dopo dr. House e si parlerà del dolore e di come viene vissuto da pazienti e dottori.







Poi ci sarà la presentazione del libro e appena avrò la data la comunicherò a tutti e spero che verrete in tanti.







Intanto grazie a tutti, a quelli che ci sono sempre stati e a quelli che ci sono.








sabato, 18 settembre 2010
Questo blog è un tributo ai miei medici e a tutti quelli che hanno lottato con me e per me. Non li dimentico mai, esercito la mia memoria affinchè questo non accada. Continuo a ripassare e, se non ce la faccio da solo, ci pensano gli altri. Gli altri ammalati che incontro quando ho il controllo. Quelli in coda nella sala d'attesa dell'ambuatorio dell'ematologia al 4° piano di via venezian. Le storie si incrociano e si confrontano, la paura e la tensione si mischiano alla speranza. C'è chi non vede l'ora di parlare, per sapere, capire, conoscere qualcosa di più e c'è chi se ne sta muto. In silenzio, appartato e immobile. C'è chi misura il corridoio e va avanti e indietro dalla finestra alla porta della stanza dove si attende di essere chiamati e chi si appoggia al muro fuori dagli ambulatori e non si muove.
Tutti hanno una dignità meravigliosa, chi porta il bustino per sostenere le vertebre, chi fatica a camminare, chi ha la mascherina, chi beve. Le attese, a volte, sono molto lunghe, qualcuno si lamenta, qualcun altro invece cerca di spiegare i motivi  per cui il tempo non sembra passare mai. La fila è spesso lunghissima e i medici non vanno nemmeno a mangiare. Le attese si prolungano perché a tutti, come è giusto, viene dedicato il tempo necessario alla visita. A nessuno piacerebbe aspettare poco e essere visitato in cinque minuti.
Le patologie sono serie e le psicologie provate dagli eventi.
L'umanità che ho toccato li al 4° piano non l'ho trovata altrove. E' incredibile come alcuni valori (la carriera, il gudagno, l'ambizione, la vanità) animino le vite di molta gente. Gente che fa del male agli altri senza rendersene conto, ci sono quelli che si credono indispensabili, che hanno capito chi sono loro e non si fanno scrupolo di umiliare la professionalità degli altri. E la cosa più grave e che pensano di fare tutto  a fin di bene. Non rimane che subire il vuoto. "E poi verso sera li vedi tuttti a caccia una donna via, che attraversano la notte a piedi per truffare la malinconia", ci provano con l'iPhone o comprando la casa con il giardino, con una macchina più bella . Ma dentro non hanno nulla.  Quando fanno gli esami del sangue non si trova nulla. Molte volte mi sono trovato di fronte a episodi sgradevoli, che mi hanno umiliato. In alcuni casi sono stato soccorso e ho trovato aiuto in coloro che mi vogliono bene e che mi rispettano (e sono moltissimi), altre volte invece ho dovuto ascoltare solo parole vuote e senza senso. Pronunciate da chi non si pone il problema dell'altro perché è troppo concentrato su se stesso.
Chi entra a gamba tesa su quello che stai facendo, lo cambia,lo ritocca ma non è capace di farlo. A questi qui bisogna dire che va tutto bene, che come fanno loro è perfetto, che sono i più bravi. Non sono in grado di accettare una critica, la prendono come un'offesa, una lesa maestà. Non si accorgono così di affogare nella mediocrità. Sono pesanti, costriuscono una cappa attorno al tuo cervello e mortificano qualsiasi slancio. Sono dei bromurizzatori.
Chissa quanti errori ho fatto in questi anni scrivendo su questo blog (e chissà quanti ancora ne farò), me ne scuso. Quello che mi importa è che si capisca che quello che scrivo mi appartiene e arriva dal mio cuore e dal mio sangue. E non devo accontentare nessuno. Quel sangue che ogni volta che ho il controllo riempie 4/5 provette. Sangue che appartiene a me ma è generato dal midollo del mio donatore. Mi piacerebbe che nella vita di tutti i giorni, nella mia vita di tutti i giorni ci fosse un po' più di attenzione, un po' di sensibilità verso gli altri. Non sopporto chi, avendo avuto la fortuna di guadagnare di più, la ostenta e pensa di essere meglio degli altri.
Ho fatto il controllo e gli esami del sangue sono andati bene.
La tensione è calata miracolosamente dopo aver visto i risultati. Punto. L'obiettvo della mia vita, visto che sono riuscito ad averne ancora una, è raggiunto: vivere.
Ho però parlato nuovamente con i colleghi di patologia. C'è chi ha avuto buon notizie e chi ne avute di meno buone. Tutti però lottano, resistono, aspettano, parlano, raccontano, sussurrano le loro vite ai vicini di sedia.
Non ho la forza di dire nulla, non so quali sentimenti potrei provocare: invidia e speranza sono due facce della stessa situazione. Cerco di non parlare e di ascoltare, mi rivedo in coloro che faticano a stare in piedi, in colro che sono magri e senza capelli. E' dura, dura, davvero dura. Poi ti chiamano per la visita. Io ci sono andato talmente tante volte che conosco anche un po' della vita dei medici, loro della mia sanno tutto (hanno visto Ida che veniva a trovarmi con il pancione). Non è proprio un'amicizia, ma sicuramente è un rapporto speciale quello che ho con loro. Il sorriso è sempre sereno (anche se hanno fatto la notte o hanno ancora tanti pazienti da vedere), non è mai di circostanza o sarcastico. Ci sono quelli più giovani, quelli più esperti, ci sono quelli più timidi e quelli che lo sono di meno. Tutti però sono grandi.

Parlo spesso di loro, per me sono un punto di riferimento non solo medico. Saranno nei ringraziamenti anche del prossimo libro che uscirà a novembre: 101 gol che hanno fatto grande il milan.

il libro inizia così
Per tutti quelli che hanno lottato, ma non ce l’hanno fatta;
per tutti quelli che hanno lottato, e ce l’hanno fatta;
per tutti quelli che stanno lottando, e che ce la faranno;
e per tutti quelli che non dovranno più avere bisogno di lottare.

Sicuramente quando ci sarà la presentazione lo dirò a tutti.

Un abbraccio
lunedì, 10 maggio 2010
Ebbene anche questa volta è andata, ho fatto il mio controllo, esami del sangue, visita, spirometria etc.
Tutto è andato bene e l'immunofissazione è negativa. Due parole una in fila all'altra che danno il senso alla mia vita. Lo danno più di ogni altra cosa. Se queste due parole non fossero associate non potrei godere nulla di quello che mi arriva. Anche per merito, ma più per fortuna, per come approcciamo il mondo. E' pieno di gente che offre soluzioni, addirittura c'è chi dice che sconfiggerà il cancro. Io non ci credo. Diffido. La malattia ti insegna a vivere giorno per giorno, ora per ora. Qualcuno, fuori dalla malattia, può andare in paranoia, non ha la pazienza. Non è capace di aspettare.
Ognuno ci mette tutto quello che ha, purtroppo non è detto che basti. Questo bisogna saperlo. Non bisogna mollare, bisogna sempre tentare tutto. Ecco perché sorrido quando qualcuno mi dice come bisogna fare una cosa, che magari so fare bene, come tenere una forchetta o dire la tabellina del 2. Però c'è sempre qualcuno pronto a insegnarti cosa devi fare. Vedo ingigantire dei problemi che sono delle minchiate, l'aria fritta che prende forma e ritorna evanescente, imprendibile e vaporosa. Però poi sono tutti contenti.

Quando faccio il controllo mi rituffo nella realtà che ho conosciuto, e che conosco. Negli odori del conservante delle cellule staminali che sa di succo di pomodoro, negli odori di disinfettante, di cibo quando è l'ora di mangiare, del freddo dell'ago in acciaio che rientra, per l'ennesima volta, nella mia vena. delle provette (plurale) da riempire di liquido rosso. Tutto il rituale si compie. l'accettazione, l'attesa, le storie degli altri, i bambini in cura. Tutto il vocabolario dei sentimenti umani lo si ritrova in pochi metri quadrati. Dall'altra parte quelli con il camice bianco. Per me hanno tutti un nome e un cognome. E' bello sapere il nome di chi ti ha salvato la vita. Anche se quello del mio donatore non potrò conoscerlo. Mi da fastido la frenesia di chi vuol sempre sapere cosa succede dopo. E allora? E allora ringraziamo che siamo qui a dire allora.

Quasi sicuramente scriverò un altro libro sul Milan, storie di uomini e di goal della squadra rossonera durante i suoi 110 anni di storia.

la mia intervista a Milan Channel in cui parlo dei miei dottori.
http://www.youtube.com/watch?v=eLMEZe04N4c 
domenica, 18 aprile 2010
Sono passati quattro anni da quando, il 18 aprile 2006, sono arrivate le cellule staminali dall'america e me le hanno infuse per il trapianto di midolllo. Per me questo giorno è il secondo compleanno, il giorno in cui sono nato una seconda volta. Nel blog ho spesso parlato della malattia, dei miei controlli, dei miei compagni di viaggio. Oggi mi sento bene e lo scenario è molto diverso da allora. Sono, però, sempre,  in attesa del prossimo controllo. Quello che deve dirmi come sto. Vivere la vita di tutti giorni è un traguardo. Molti, la maggior parte, non se ne rendono conto. C'è sempre qualcosa da insguire, un nunovo modello di scarpe, la ceretta da fare, il ciente da incontrare,il lavoro da finire, il dentifricio da comprare. Tutto ci appare monotono. E invece non è così. I momenti quotidiani sono quelli più veri più semplici. Semmai diffido da quelli che hanno sempre la soluzione, che si sentono le guide, di quelli che sanno dire benissimo "non mollare", "lotta sino in fondo", "credici", "credi in te stesso". Il coaching e l'integratore vitaminico ci dettano  la loro legge. Ecco, io a questa roba non ci credo. Che ne sanno loro di cosa vuol dire avere la chemio che ti circola nelle vene, parlo di quelli che ti fanno camminare sui carboni ardenti). Non c'è bisogno del coaching per sapere che non bisogna mollare mai, lo sanno tutti, anche i bambini ricoverati. Insieme alla volontà ci vuole anche la fortuna. La forza per superare certe situazioni ti viene da dentro insieme a quella che ti danno le persone che ti vogliono bene (non solo i familiari o gli amici, ma anche gli sconosciuti che ti dicono la parola giusta).

Ho da poco finito di leggere "I sommersi e i salvati" di Primo Levi, ho trovato qualche punto di contatto tra la condizione del malato di cancro "rinchiuso" nella sua stanza e quella dell'internato nel campo di concentramento. Le sensazioni sono però molto differenti, è vero entrambi lottiamo per sopravvivere, solo che io ho avuto chi ha lottato per me e insieme a me con l'obiettivio di salvarmi e farmi emergere. Primo Levi, al contrario, si è trovato a dover lottare con chi lo sommergeva.  I miei amori (Ida e Lorenzino), mia madre, mio padre, i miei fratelli e tutti glialtri cari insieme agli amici e al personale dell'Isitituto dei tumori sono stati dalla mia parte. Sostegno incondizionato.

Ho sentito il calore di tanti mentre affrontavo (e affronto) le terapie, i trapianti e i controlli. Alcune sensazioni, poche in realtà, rispetto a quello che avrei voluto, le ho inserite nel mio libro "101 motivi per odiare l'inter e tifare il milan", il contesto, giustamente, non permetteva di più. Il libro è andato bene e ha venduto 10.000 copie, significa che, potenzialmente, alameno 10.000 persone hanno conosicuto la mia storia e la mia passione. Qualcuno di loro mi ha anche scritto, qualcun altro ha scritto del libro, qualcun altro si è ritrovato. Ringrazio tutti. Il libro mi ha così permesso di entrare in contatto con la storia di altre persone appassionate di calcio e del milan, ma anche con altre persone che non stanno bene e stanno affrontando il male. Una in particolare mi ha colpito per il fatto che condividiamo queste due cose: il calcio e il cancro. L'ho incontrato in un ristorante e, dopo trenta secondi che gli parlavo, ho avuto delle "positive vibration". Ho percepito, nonostante la malattia, la sua forza e la serenità della sua famiglia, due ingredienti fondamentali, insieme alla fortuna, per mettere sotto il tumore. 

Incrociando le dita, la scaramanzia è d'obbligo, sto lavorando a un nuovo progetto editoriale e quando avrò qualche certezza in più ne scriverò. Sono contento di queste possibilità. Ho potuto scrivere e parlare di una mia passione intrecciandola con la mia storia. Per farlo ho messo da parte la meschinità degli uomini, la furbizia e la mortificazione del talento che spesso ho incontrato.

Sono stato intervistato da Mauro Suma per  Milan Channel, durante l'intervista, che è durata circa un'ora, sono statto messo completamente a mio agio. Ho cercato sul you tube e ho trovato due frame i link sono.



Quattro anni fa non mi sarei mai aspettato di ritrovarmi davanti a un computer a scrivere di libri, dei miei libri. Non dimentico quindi chi mi ha aiutato.

grazie.
mercoledì, 03 febbraio 2010
Siamo a febbraio, 5 anni fa mi spostavo dal san raffaele all'isitituto dei tumori. Una scelta azzeccata.

Anche questo gennaio, come allora, ho fatto il mio controllo. La differenza è che questa volta tutto andava bene, l'IMMUNOFISSAZIONE è negativa. E' il suono di quest parolina quello che conta per me e per chi mi vuole bene.

Sono quindi contento, così come lo sono per come sta andando il mio libro e ringrazio tutit quelli che lo hanno comprato, letto commentato, sfogliato, visto. Anche all'isitituto (ambulatorio e reparto).



Ho sempre la prossima visita da affrontare, e affronto le cose giorno per giorno, sia quelle più importanti sia quello che lo sono meno. In questo modo posso sempre rendermi conto, giorno per giorno appunto, di come le differenze tra quello che vorremmo fosse e quello che realmente è, non sono poi così grandi. Non è vero che tutto è possibile, che basta volere una cosa perché questa accada, che bisogna essere determinati, che bisogna credere nelle cose. Queste sono forse delle condizioni, ma la precondizione è quella di stare bene, di sentirsi bene. di non darlo per scontato. Ho seguito dei corsi della regione lombardia destinati a i cassintegrati come me, interessanti. Ma è stato tutto un florilegio di "credici", "agisci", "cambia", "risolvi i problemi", "pensa positivo" e via di questo passo. Ma nessuno dice mai: prima di tutto bisogna stare bene, in salute, fisicamente e psicihicamente, e queste sono le precondizioni. Non c'è sempre un lieto fine, non siamo al cinema. Frequentare gli ospedali mi ha fatto vedere molte cose, mi ha fatto capire, sulla mia pelle, cosa significa stare bene e cosa significa non stare bene. Tutti quelli che sono negli ospedali ci credono, pensano positivo, lottano, sono determinati. La differenza la fa la fortuna. La fortuna di ammalarsi o meno, la fortuna di trovare il medico bravo, la fortuna di rispondere alle cure, la fortuna di avere l'ospedale vicino e via così.

A coloro cui tutto è andato bene nella vita spesso sfugge questa componente, quella della salute. Quella dell'attesa. In cui si apprezza ogni cosa semplice: uscire la mattina per andare a lavorare (quando si ha il lavoro), tornare a casa e avere il sorriso di chi ci ama. Avere la forza di essere eroi nella normalità di tutti i giorni. Di guadare le paludi dell'invidia e della grettezza. Insomma, per quanto possibile cerchiamo di prenderci il buono.

Fino al prossimo controllo. poi si riparte. Con il cuore e l'affetto di voi che leggete.

vi voglio bene.

 
giovedì, 12 novembre 2009
Il 26 novembre non è stato un giorno come tutti gli altri, è stato il giorno in cui ho presentato il mio libro "101 motivi per odiare l'inter e tifare il milan". Alla libreria dello sport sono venuti in tanti, e quelli che non sono potuti venire mi hanno mandato dei messaggi molto affettuosi. Sognavo una serata proprio come quella che è stata. per arrivare alla presentazione ho trovato tutti i semafori verdi, tutti mi sembrava mi sorridessero. Anche il barbiere da cui vado di solito era libero al momento giusto. Mi sentivo come su una pista d'atterraggio illuminata, dovevo seguire le lampadine. A un certo punto non ero più io a guidare.



































Alcuni sono arrivati in anticipo e mi stavano aspettando. Poi la saletta si è riempita e hanno cominciato ad arrivare tutti, amici, affetti, persone. Una porzione del mio mondo, quella che mi vuole bene. Insomma non tutti quelli che mi volgliono bene c'erano, ma tutti i presenti sicuramente mi vogliono bene. Era la prima volta nella mia vita che facevo una cosa del genere. Ero emozionato, tutto mi sembrava importante, ma poi giuliano ha suonato la campanella e, alè, siamo partiti. Tutto in un fiato, tutto di cuore. Tutto bello.  I nostri libri sul tavolo, le persone davanti e intorno a noi. Tutti sorridevano e io e dante eravamo veramente gasatissimi. I bimbi giravano e vedvano i loro papà discutere di pallone. Poi battute, punzecchiature, ricordi, amicizia, fratellanza. Tutto il campionario dei sentimenti umani era presente ieri sera, parlo naturalmente dei sentimenti buoni. Mi sono sentito vivo. La presenza della delegazione dei miei dottori è un altro degli aspetti che voglio assolutamente citare. L'affetto e la riconoscenza che ho per loro sono immensi. Non solo perché mi hanno salvato la vita, ma perché sono delle persone (non solo dei medici, quindi) davvero speciali. A loro un grazie che vale tantissimo. C'erano mio padre, mio fratello, mia sorella (gli ultrà di famiglia). C'erano Ida e Lorenzino. E tutti gli altri che hanno messo da parte per un'oretta la quotidianeità (e la sua durezza) e si sono lasciati andare. C'era l'MC LANZA al gran completo, compreso il presidente, addirittura ringiovanito. Foto, abbracci, pacche sulle spalle. Sè parlato di milan e di inter, ovviamente, ma si è parlato tanto di tutti.





Chiudo con un ultimo pensiero, come sempre un ricordo va chi non ce l'ha fatta, sia quelli che conoscevo sia quelli che non conoscevo. La sofferenza è grande per tutti e purtroppo in questi giorni ne ho sentiti più del solito. E' tremendo. Quelli che c'erano ieri sera sanno cosa ho passato e sanno anche che ero li a parlare di milan con la consapevolezza di una fortuna senza pari,


GRAZIE!


Alcuni non hanno potuto esserci, sto già organizzando il recupero, appena ho le date certe l'ho scrivo qui e lo dico a tutti.


























giovedì, 12 novembre 2009
Alla fine ci sono riuscito, grazie a Giuliano e alla Newton Compton è uscito il mio libro sul milan. Dentro si parla di un sacco di cose oltre che di calcio, di milan e di inter.







Ci sono io e tutti quelli che mi sono intorno. Sono molto contento. Questa uscita mi ha permesso di allontanarmi dai pensieri pesanti degli ultimi anni (il mieloma e il trapianto di midollo osseo) e degli ultimi mesi (la cassa integrazione). Ho avuto fortuna, la fortuna di essere qui a raccontare questa storia.







Il libro racconta anche un pezzo della mia avventura: dalla chemio e le cellule staminali alla libreria. Un percorso vivo, qua e là interrotto da qualche corto circuito. La malattia però non c'entra, a creare le interruzioni sono stati gli uomini. Interruzioni, anche felici. Ho ricevuto complimenti e in bocca al lupo da tante persone, da tutte quelle che mi vogliono bene ma anche da chi, trovandosi il libro tra le mani, non conosceva marco. Altri sono stati più frigidi, lontani dalla passione, lontani dal cuore, lontani dalla vita. Ma chissenefrega!







L'invito è per tutti i miei fratelli.















IL LIBRO SARA' PRESENTATO INSIEME A QUELLO DI DANTE SEBASTIO "101 MOTIVI PER ODIARE IL MILAN E TIFARE L'INTER"







IL GIORNO 26 NOVEMBRE ALLE 18.00







PRESSO LA LIBRERIA DELLO SPORT







VIA CARDUCCI 9 A MILANO







questo è il link al sito di Newton in cui si parla del mio libro http://www.newtoncompton.com/index.php?lnk=101&ISBN=978-88-541-1538-5&idaut=1814;&idcur=







tutti posso venire e mi farebbe molto piacere.















Naturalmente non posso concludere questo post senza un riferimento a coloro cui questo blog è dedicato: i miei medici e il personale dell'istituto dei tumori di milano.
venerdì, 09 ottobre 2009
Mio figlio, quello per cui ogni mattina preparo la colazione: latte tiepido con cacao e miele, ieri ha compiuto quattro anni. Cresce, parla e fa  un sacco di cose. Mi aiuta.

Lo spirito si nutre di questo affetto e della vicinanza di chi ci vuole bene.

Mi rendo conto di attraversare un periodo faticoso e, in parte, difficoltoso. Il lavoro, la salute sono importanti, purtroppo però non sono come le voci dell'oroscopo, da liquidare con due, tre o quattro stelline. Ma, sono parte della vita di tutti i giorni, quella stessa vita in grado di annoiarci e di sorprenderci allo stesso tempo.

Mi sorprendo per come riesco a scrivere con il computer, dopo chei farmaci mi avevano procurato una neuropatia alle dita. Mi sorprendo quando vedo un vestito di lorenzino che non gli va più, mi sorprendo ogni mattina quando vedo mia moglie che esce prestissimo per andare a lavorare. Schegge di quotidianeità che ci fanno capire, o almeno ci inducono a capire, quanto sia difficile anche la ordinaria amministrazione. E quanto siano importanti coloro che ci ruotano intorno, i buoni e i meno buoni.

Abbiamo a che fare con tutti. E tutti i giorni ho a che fare con l'esperienza del cancro e dei singoli passaggi che ho affrontato; ho contato le volte che sono stato all'ospedale: solo per le visite (escludendo quindi i ricoveri, gli esami, le terapie e tutte le cure avute prima del passaggio all'Istituto dei tumori) ho superato quota 120. I miei dottori naturalmente mi conoscono, mi hanno salvato la vita. Hanno dato tutto per raggiungere questo scopo meraviglioso; lo hanno dato in 4 anni e mezzo. Mentre in 4 minuti e mezzo mi sono ritrovato in cassa integrazione. Naturalmente ho riflettuto sugli uomini, sia su quelli che mi hanno salvato sia (per rimanere con Primo Levi) su quelli che mi hanno sommerso...... Ho riflettuto sui medici che hanno migliorato la mia qualità della vita e sulla cassa integrazione, che ha  peggiorato la mi qualità della vita. Ho riflettuto su quelli che non hanno fatto differenze e quelli che le hanno fatte.

Sono due piani diversi? Recito più parti in commedia? sono un malato di cancro? sono un lavoratore? un padre? un milanista? un giornalista? quante persone sono?

Semplicemente sono sempre io, marco,sono gli altri che mi guardano e mi giudicano (e alcuni, magari quando parlo del cancro, si toccano le palle).

Per fortuna gli esami, gli ultimi che ho fatto, andavano bene, questo è importantissimo, la cosa iù importante di tutte. E una volta di più ho ripensato alla mia situazione e alla possibilità di descriverla qui. Possibilità che non ha più Corrado Sannucci, giornalista di Repubblica mancato negli scorsi giorni. Era malato di mieloma e aveva scritto un libro sulla sua malattia, ma non ce l'ha fatta.  Corrado amava il calcio, come me; ha un figlio piccolo, come me e ha avuto a che fare con il cancro, come me. Per questo lo ricordo sul mio blog, anche se non l'ho conosciuto personalmente.





Questo blog è stato citato anche in una trasmissione de la 7 che si chiama Omnibus life questo è il link per vederlo

 
http://www.la7.it/approfondimento/dettaglio.asp?prop=omnibuslife&video=31697

ne parlano all'inizio e alla fine.





All'inizio del mese di novembre uscirà il mio libro per Newton Compton "101 motivi per odiare l'Inter e tifare il Milan". Nel libro si parla ovviamente di Milan e di Inter ma anche di me e di molti di quelli che mi girano intorno. Come dice Almodovar "tutto quello che non è autobiografico, è plagio" così  insieme al calcio ci ho messo dentro anche la mia vita, quella che molti di voi hanno letto qui su questo blog.



 
venerdì, 19 giugno 2009
Le date mi ricnorrono, tutte portano un ricordo. Molte mi fanno tornare ai momenti incredibili che ho passato tra terapie e operazioni. Ogni mattina è una data nuova e ogni mattina penso che è un gran giorno. Ogni giorno da sopravvissuto è un giorno guadagnato. La tensione dell'attesa di un esito ti maniga, ma poi lo scarico di adrenalina è una sensazione bellissima. Woody Allen dice che la parola più bella non è Ti amo ma "è benigno". Lo seguo e dico che per me le due parole essenziali per la mia vita (e quella di chi viaggi insieme a me) sono immunofissazione negativa.

Sono passati 6 anni da quando mi sono sposato, 5 dall'operazione alla testa che ha svelato il mieloma, tre dal trapianto da donatore e un giorno dal mio compleanno. Come sempre i medici mi tengono sottocontrollo. Come sempre sono "ammafaldato" (da Mafalda) cioè in polemica con il mondo e con le cose che non vanno e che non mi piacciono. Tuttavia una serie di fatti positivi si sono compiuti proprio in questi giorni. Del controllo e del compleanno ho già detto: due motivi di festeggiamento in un colpo solo e infatti non basta un solo giorno a festeggiare ma vado avanti per tre. Poi è uscito un articolo su Micro Macro Marketing cui tenevo in modo particolare, sia per il prestigio della pubblicazione (oltretutto apro il numero) sia perché era da un sacco che lo aspettavo. E poi c'è la mia banda di amici e di affetti che hanno festeggiatto con me. Andare d'accordo con gli altri non èsempre facile. A tutti piace far passare il proprio pensiero sulle cose, piace anche a me. E lo scrivo qui. Non i piace invece chi le proprie idee le vuole imporre, anche se sono ottime. Ci vuole rispetto.


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sabato, 18 aprile 2009
Per me la giornata di oggi è una specie di compleanno, quel giorno di tre anni fa le cellule staminali arrivate dall'America sono servite a salvarmi la vita.

Tecnicamente, in termini clinici, sono un sopravvissuto a tre anni dal trapianto. La parola sopravvissuto mette un po' i brividi, fa capire immediatamente che non è detto che si riesca a superare tutto: la malattia, il trapianto di midollo osseo da donatore, le terapie etc...  Ogni giorno un piccolo passo, ogni giorno uno stimolo, ogni giorno un pensiero, un timore, adesso sto bene e anche gli ultimi controlli che ho fatto andavano bene. Però sono sempre lì ad aspettare il controllo successivo. Basta un valore con un piccolo distacco dal range che subito mi preoccupo, e allora si riparte con gli esami, i test, le visite, i farmaci, i controlli. So di essere assistito molto bene, i miei medici e tutto il personale dell'isituto dei tumori sono sempre con me. Così come sempre nei pensieri c'è il mio donatore. Con il suo gesto ha dato un senso in più alla sua vita, e naturalmente alla mia. La complessità del trattamento e il coinvolgimento delle strutture e delle competenze è stata massima, fortunatamente chi mi vede in viso, ora, non si rende conto di nulla di quello che ho vissuto. L'aspetto più evidente, però solo quando sono seduto e ho i capelli appena tagliati, è la cicatrice da 32 punti per l'intervento in testa. Quelle per i cateteri di farmaci e idratazione non si vedono. Tre anni dopo sono qui a ripercorrere (ma solo nella mia mente) tutti i momenti di quei giorni. Dal condizionamento, che vuol dire chemio a alte dosi, al trapianto vero e proprio (la trafusione delle cellule staminali), all'aplasia cioè il momento in cui il tuo vecchio midollo è spazzato via e quello nuovo sta iniziando a formarsi. Anche per fare la pipì avevo bisogno di aiuto. La debolezza era assoluta, accecante. In questo blog provo a raccontare le sensazioni che ho provato in quei momenti ma anche quelle di gioia quando sono potuto tornare a casa e rivedere mia moglie e mio figlio (all'epoca aveva solo sei mesi).

Chi ha figli sa cosa vuol dire stare lontano da loro per cause indipendenti dalla propria volontà, e chi non li ha so che lo può immaginare. Sofferenza aggiunta ad altra sofferenza. 

Oggi, a differenza di allora, uscirò con i miei amici. Quando vivo uno dei tanti momenti belli lo apprezzo in modo particolare. Sono sopravvissuto al trapianto fino a oggi, ma non riesco a farmi una ragione quando vedo la prevaricazione diventare religione, sull'autobus, al supermercato, in ambito lavorativo, negli aspetti grandi e quelli piccoli della vita di tutti i giorni. Quella vita che per un po' non ho potuto vivere, una sopsensione della vita. Quando capita qualcosa che non mi piace o che mi da fastidio non resisto, mi arrabbio. Non è giusto perché non mi fa bene. Però è lanche la controprova che mi sento bene e che voglio rivivere la mia vita. Ci sono tante cose che non mi piacciono, quando mi ritrovo a dover rifare o rivedere una cosa cento volte. Quando mi toccano nell'intimo, quando mi dicono che non sono capace a fare delle cose che credevo di saper fare bene, quando mi fanno la lezione.

Ci sono cose che ho fatto, e che mi hanno fatto, centinaia di volte. E poi altre cento. Come i miei prelievi, ma non mi sono abituato, non ci si abitua mai.

Come non mi sono  ancora abituato a vedere gli articoli sulle riviste, con cui ho la fortuna di collaborare, il mio nome come autore dell'articolo. Molti li ho scritti gratis, ma non importa, quello che mi ripaga sono poi i complimenti dei "miei" lettori, molto spesso gli stessi di questo blog. Ma anche qualcuno di più. Semmai mi arrivano gli incoraggiamenti a continuare a scrivere. Cercando di sfidare la sintassi, di trovare parole nuove o diverse per descrivere i fatti. Le sensazioni sono solo on line.

Credo di avere imparato, anche sulla mia pelle (visto i segni che porto), cosa è davvero importante nella vita. E certo non è una frase detta in un modo sconveniente che può farmi cambiare idea, tuttavia un atteggiamento può ferirti. Gli altri spesso non se ne rendono conto. La sensibilità altrui è un tema evitato. Nessuno mette mai in discussione la propria intelligenza, è più semplice pensare che gli altri siano stupidi. Tutto il contrario della stada verso il sapere indicata da Socrate oltre 2000 anni fa.

Sono sempre un paziente, un sopravvissuto, uno con le cicatrici, ma sono anche un papà, un compagno, un figlio, un collega di persone che mi vogliono bene.
Ho scritto 101 perché sulla storia di Milano. Grazie ai medici dell'istituto dei tumori di Milano. La vita è complicata: ci sono un sacco di input e di output.

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giovedì, 04 dicembre 2008
Sono le mie date di nascita, mica male averne due. Susciterò invidia, nascere due volte non è facile, anzi direi che è complicato. Ma a me è successo. La prima volta sono nato normalmente come tutti e, come tanti milanesi, alla mangiagalli. Era il giorno del compleanno di paul mccartney (ma sono lennoniano) in pieno successo, poi è stato il turno di fabio capello. La distanza tra le due date è quasi 40 anni ciò significa che sono rinato piuttosto grandicello, e con già un figlio fatto, i numeri di entrambe le date sono pari e per la cabala ciò avrà anche un senso.

La seconda volta sono nato attraverso un catetere, quello che mi ha sparato in vena le cellule staminali che, con il loro lavorìo, hanno contribuito a ricostruire il mio midollo osseo e un sistema immunitario degno di questo nome. Mentre la prima volta c'erano ostetriche e ginecologi, la seconda è toccata agli ematologi. Tutte e due le volte sono nato a milano, sulla carta di identità però conta solo la prima, la seconda non posso scriverla. Tra la prima e la seconda nascita sono stato vicino a morire.

Poi, alcuni di cui conosco nomi e cognomi mi hanno salvato la vita con l'aiuto fondamentale di qualcuno che conosciamo tutti (e chi non lo conosce ne ha sentito parlare). Non è stato uno scherzo. E' la miscela di farmaci, attenzione, ostinazione, fede, fortuna, temperamento quella che mi ha aiutato. Questa miscela è la stessa per tutti a cambiare sono le dosi sia in valore assoluto sia in percentuale. Ho preso quantità di farmaci inimmaginabili anche per il più ipocondriaco della terra, così come inimmaginabile è stata la quantità di fortuna. Il mio contributo c'è stato sicuramente ma, rispetto al resto, è stato il minimo. Sapete com'è si sta parlando della propria vita. Ho iniziato  tutto 4 anni e mezzo fa, naturalmente la diagnosi faceva paura, però c'erano dei nuovi farmaci - quelli intelligenti- (che ho avuto subito, come trattamento di prima linea, si dice così) e da allora la fiducia è cresciuta. Oggi, e non parlo solo per me, è cambiato anche il linguaggio il modo di approcciarsi a questa malattia. Su questo blog do conto anche dei miei controlli e l'ultimo, quello prenatalizio e completo di rx, ci ha fatto vedere (ai miei medici, ma si sono anche un po' miei in senso affettuoso) dei numeri a posto. Naturalmente sono contento così come lo è tutta la tribù che mi ruota intorno, davvero un sacco di gente appartenente a mondi diversi: amici, colleghi di lavoro e di malattia, naviganti della rete, fratelli, sorelle, mamma, papà, ida e lorenzino, professori universitari, medici, capi e ex capi, milanesi e fiorentini, palermitani e americani. Insomma tutti anche coloro che vedo poco, ma a cui penso molto, come tutti quelli del sesto piano, loro sanno di chi sto parlando. Pochi giorni fa sono stato proprio li, in mezzo a loro e mi sono sentito bene (moralmente e fisicamente). Per quanto glielo consenta la loro professione, mi hanno aperto il loro cuore. 

Ho  spesso la sensazione, soprattutto quando sono in viaggio con la nostra meravigliosa e vitale modus di viaggiare con dio seduto sul seggiolino dietro, dio con il viso di lorenzino. In certi momenti penso che siano la stessa persona, per quello che ci sta succedendo e per quello che questo figlio ci sta dando. Guardo nello specchio e mi dimentico della mediocrità che ci circonda, e di quella che ho conosciuto personalmente. Mi sono reso conto di quanto è difficile avere carattere (o le palle, scegliete voi l'espressione). E' più facile soprassedere, non chiedere e non dire, il rischio è quello di avere risposte scomode, ruvide, in definitiva poco piacevoli. Ebbene facciamo le domande, a voce o per iscritto, a tutti coloro cui ci sentiamo di farle; non fatevi soggiogare dal fatto di chiedere qualcosa a freddo, l'effetto sorpresa è stupefacente. Sentirete balbettare anche il più dialettico dei dialettici.





Risposte dure ne abbiamo avute tutti, dai medici come dai colleghi e dai capi, ma anche da mamma e papà, dagli amici. In un libro recente a proposito della leadership c'è il richiamo alle caratteristiche di quelli che comandano, una di queste è quella di essere str... (avete capito no?). Dovrebbero fare un altro mount rushmore, solo che al posto dei volti dei 4 presidenti dovrebbero scrivere la parola str.. e attacare sotto, come fossero degli ex voto, le foto di tutti coloro cui riconosciamo questa speciale caratteristica. Di modo che se uno ci va e poi vede la sua foto potrà, ma non è detto, farsi delle domande.

Tutti ne conosciamo qualcuno, da quello che porta in giro il cane e non raccoglie il ricordino, a quello che parcheggia in seconda fila e non ci fa uscire dal parcheggio, da quello che non ti ritira le raccomandate perché non gli hai dato la mancia a quello che ti soffia il lavoro perché pensa di essere più bravo. Da quello, pseudoveneziano: faso tuto mi e lo faso ben a chi invece non fa niente e lo fa pure male.

Insomma tutto il bestiario umano di quelli che non ci piacciono. Poi ci sono queli che vogliono piacere  a tutti i costi, diffidate di loro partendo dal presupposto che non si può piacere a tutti. Così come è bene diffidare da chi confonde la buona educazione e la gentilezza con la debolezza; la capacità di riflettere con la lentezza nell'agire; la sensibilità e il pudore con l'assenza di grinta, chi disprezza il genio perché si sente minacciato, chi vede l'intelligenza con sospetto e ha per religione la furbizia e la prevaricazione. Anche quel tipo di prevaricazione soft del tipo "volevo condividere con te....", e poi si fa come dice il condivisore e non come dice il condividente.  Purtroppo, e torno sempre li, con la malattia la furbizia non serve, la prevaircazione nemmeno, servono però intelligenza, capacità di ascolto e fortuna, tanta fortuna.



Avete mai sentito frasi del tipo lottiamo per un grande obiettivo, magari all'assemblea di condominio (fuori luogo), mettere la musica di rocky (per caricarsi) prima di una riunione,studiare per migliorare l'interazione, per capire cosa vendere e come venderlo meglio. Personaggi con il microfonino che ti spiegano, che ti dicono, che ti raccontano che è meglio la cravatta di un certo colore perchè così dai un messaggio. Ma ddai!! come dice lorenzino (3 anni a ottobre), quante dobbiamo ancora sentirne e poi se gli chiedi di dirti una canzone di paul mccartney da solista vanno in panico. Dylan, Dylan chi? Bob Dylan, Dylan Dog o Dylan Thomas, una bella scelta. Tele o strato? Li avete mai sentiti calarsi nella realtà di tutti i giorni e parlare delle questioni comuni, quotidiana? Leggetevi Goffmann capirete di più che in mille corsi.

Io, ad esempio, sono per la tele(caster) ,ovviamente, come keith richards e il colonnello cropper. Così come sono per Beckett e Anna Arendt, per Harry potter e corto maltese, per kakà e ruud gullit, per john lennon (power to the people) e patti smith (people have the power), per firmino e gregor samsa, per il milan di sacchi e quello di capello. Per il drugo e per i creadence, per jake e anche per elwood, per blade runner e guerre stellari, per i libri usati e per quelli nuovi, per i succhi di frutta e la coca cola, per il sasso bucato e suvereto, per il cotechino e le lenticchie, per il gruppo sanguigno nuovo e per quello vecchio, per milano e per mentone, per san siro e san francisco, per i miei dottori e per tutto il personale dell'istituto dei tumori di milano, per la cioccolata e per il passito, per il pranzo e per la cena, per il caffé e anche per il decaffeinato, per franco baresi e pietro paolo virdis, per ida e per lorenzino, per il mio donatore e per tutti i donatori di midollo osseo del mondo, per gli amici di sempre e per quelli di una volta, per quelli che, se anche li vedi poco, hanno tutto darti. Per Farinata al canto X e per i ghibellini, per i Beatles e per i Rolling, per Bobby Fisher e anche per Spassky, per chi si arricchisce da una chiacchierata e per chi  non sa quello che si perde; per chi è rimasto e soprattutto per chi non c'è più; per  Maarten van der Weijden (medaglia d'oro a pechino dopo essere stato curato con il trapianto di cellulle staminali) e per Lance Armstrong (ho in mente la prima pagina dell'equìpe esposta al reparto di urologia dell'INT dove ha scritto di suo pugno: winning the tour is great beating the cancer is better); per chi vive giorno per giorno e si rende conto che stare bene di salute è la cosa più importante.

Sono per tutti quelli che mi piacciono e quelli che rispondono sul blog o per email quando scrivo loro. A tutti in bocca al lupo per il 2009. 

Siete GRANDI
giovedì, 17 luglio 2008
Sono sempre in mezzo a due controlli, a quello appena fatto, fortunatamente andato bene, e quello che dovrò fare. La frequenza si dilata ma la tensione no. In questo mentre succedono molte cose, vedo molte persone. Apprezzo quello che succede, ora per ora, giorno per giorno. La mia famiglia mi è solidamente vicina in tutte le situazioni. E tanti altri, i soliti, quelli che leggono questo blog, quelli che mi curano, (parlo del gruppo dell'Istituto dei tumori, mettiamoci che alcuni di loro avrebbero potuto essere miei compagni di liceo, come faccio a non pensare a loro?), quelli che mi vogliono bene.

Ci sono poi anche coloro che non si rendono conto di come la meschinità si sia impadronita delle loro vite, di come, tutti i giorni, si perda di vista quello che è importante.  Sono molti che si sentono come le cellulle staminali: in grado di saper fare -bene- qualsiasi cosa solo perché rivestono un certo ruolo. E così se uno è calciatore può fare lo scrittore, se uno è un uomo ci dirà cosa devono fare le donne. E via di seguito. A queste persone devi dimostrare in ogni momento che sai scrivere il tuo nome senza sbagliare. Certo a oltre 40 anni fa ridere una cosa del genere. Uno impara a sei anni e poi non sbaglia più. E invece no, devi sempre trovarti ad avere a che fare con chi è invidioso, con chi è presuntuoso, con chi si sente più furbo di te, perchè ha fatto il militare.

In un certo qual modo sono stufo di vedere e sentire parlare della malattia da persone che non ne capiscono niente, che pontificano, che sono interessate solo alla sofferenza altrui per specularci sopra.

La malattia è una cosa seria, ti accompagna e ti segue sempre e questo è un peso faticoso da portare. Pensare di riuscire a fare delle cose è faticoso: mangiare qualcosa di particolare, fare uno sport o uno sforzo. La fatica, oltre che fisica, è mentale. E' faticoso pensare ai perché, è faticoso andare al controllo. E' faticoso aspettare. E' faticoso rendersi conto che spesso si ha a che fare con dei mediocri.

Per mia fortuna non mi è capitato spesso e, se ripenso ai momenti in cui li ho incontrati, cerco di spostare la mia prospettiva su quelli che mi aiutano e mi sostengono oggi (che sto bene) come ieri (quando non riuscivo ad alzarmi dal letto).

I mediocri, citando vecchioni, ci vedono così così: "leggiamo poco, leggiamo libri. così così; viaggiamo poco e vediamo posti così così; nelle foto veniamo sempre così così".

Insomma siamo così così, o ci percepiscono così. Ma sono contento di essere così così, di percepire sensazioni che mi uniscono a altri che sono in ballo, come me, con ospedali e terapie, medici e attese. Una vicinanza di sentimenti e di passioni che non si possono capire sino in fondo se non si sono provate.

La vicinanza è anche quella di chi è discreto e ti dimostra il suo affetto e, per fortuna sua, non deve rapportarsi con una realtà che è, ed è stata, molto dura e difficile.

Grazie alle cure sono cresciuto, sia per l'esperienza e gli incontri che ho fatto sia perché ho potuto continuare a parlarne.

Un pensiero va a chi, pur seguendo protocolli simili per un tipo di malattia simile, non c'è più. Non c'è più e basta.

Quello che ho passato concretamente (trapianti e chemio, terapie e prelievi, tutto moltiplicato per n volte) mi ha lasciato un velo di malinconia. Che mi accompagna  in tutte le cose che faccio, soprattutto in quelle belle. Ho l'impressione di non riuscire a godere appieno della bellezza intorno a me (un tramonto al mare con mia moglie e mio figlio), una cena con gli amici, una risata con i miei colleghi. Non perché non sia contento ma perché penso che se non avessi passato quello che mi è successo sarei stato più felice.  O ancora che la strada per la felicità sarebbe stata molto diversa.



Poi guardo la mia succlavia e vedo che è libera, senza più il catetere groshong e allora penso: si sono felice o, quanto meno, sono riuscito ad avvicinarmi.



 
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venerdì, 14 marzo 2008
 Lui vuole solo la mamma quando è ora di fare la nanna, così prima di spostarlo nel suo lettino, giorno dopo giorno sempre più piccolo, li vedo, lui con il suo dito in bocca e il suo pigiamino, lei distrutta  dalla stanchezza della pesante quotidianità.

Sono li insieme, stupendi, tranquilli che dormono e mi trasmettono forza e serenità. Quello che serve, nei momenti buoni e in quelli meno buoni. Stare con loro mi piace. Li amo.

Loro sanno quanto sono importanti i numeri per me, e non soltanto quelli delle ricerche di cui mi occupo per lavoro. Loro sanno che il 3% è il numero della felicità e delle plasmacellulle contenute nel mio osso e nel mio midollo. Così come dice il referto della BOM (biopsia osteomidollare), ti fanno un buchino nel bacino e zac, nick manofredda inserisce l'ago e fa scattare la carotina. C'è il gruppo che mi segue e mi da le notizie. L'ultima volta, dopo una lunga serie di esami, il 3% ha riassunto tutto, insieme all'immunofissazione negativa.

Ecco potrei finire qui e invece vado avanti, sono tantissimi coloro che mi chiedono come sto, e la cosa più bella è utilizzare un comune bisillabo: bene. Anche se so che la strada è sempre lunga e imprevedibile.

Questo risultato ce lo siamo sudato tutti insieme, io, ida, lorenzino, la mia famiglia, i miei amici, i miei  ex colleghi e quelli attuali che mi vedono tutti i giorni (alcuni davvero stratosferici), i "miei" dottori con cui ho instaurato un ottimo rapporto umano. Li cito: una di loro (perché le donne contano, eccome se contano, nell'ambulatorio che frequento) ha detto che curano le persone e non le malattie. Eccomi qua, sono una persona che è in cura. 

Vorrei ringraziare tutti uno per uno, vorrei che tutti stessero bene in salute, vorrei che tutti avessero adrenalina e forza per fare e realizzare quello che gli piace. Vorrei non aver passato quello che ho passato, ma, visto che l'ho passato, mi piacerebbe che nessun altro di quelli che mi piacciono lo debba passare.

Non riesco a stare senza prendermela per alcune cose, anche se non dovrei, ma quando è così è perché ci tengo, perché ho investito energie e vederle disperse mi dispiace. Poi finisce lì, ma mi dispiace.

Sono tre le cose importanti della vita: salute, salute, salute. senza di lei non puoi godere il resto sia esso un minuto di felicità o una birra fresca quando fa caldissimo.

Ho sofferto, e soffro, ho vissuto (mi si passi questa citazione nerudiana si dice così? da neruda?)  e vivo tutto in modo lucido, dall'operazione alla testa, alle terapie. Quelle pesanti e quelle leggere. Dalla chemio ad alte dosi (si chiama proprio così) alla tachipirina per la febbre.

Non esiste un prima e un dopo ma un, unico, continuo, durante. Da quando ti fanno la diagnosi e inizi le cure sei sempre sospeso tra l'ultimo controllo e il prossimo. A cambiare, per fortuna, è la frequenza, dalle due/ tre volte a settimana a una volta ogni mese e mezzo. E' un bel cambiare. Ormai conosco tutta la procedura a memoria, potrei muovermi nei corridoi dell'isitituto con gli occhi bendati. Tutti collaborano per farmi stare bene, a cominciare dalla sala prelievi, il primo punto del viaggio di controllo. Là bucano le vene con dolcezza, anche se le mie, a volte sono un po' secche.

Tante persone che c'hanno il blackberry per ordinare la pizza domicilio oh yeah, che c'hanno le tod's perché così anche loro sono mainstream oh yeahh, che c'hanno la voglia di fare il direttore perchè così hanno fatto carriera oh yeahhh,  che mettono il casco dello stilista perché nel traffico loro sono eleganti oh yeahhh, che loro vedono la donna come una nomade in cerca di se stessa e allora disegnano un vestito con un avanzo, uno scampolo oh yeahhhh, che c'hanno il suv e poi comprano il fango spray per dargli un tono country oh yeahhh, che c'hanno 25 anni e hanno già capito che la playstation è una metafora della vita perché la sfida è tutto oh yeahhh, che narciso era un makeup stylist oh yeahh, che c'hanno il telefonino che fa anche le foto/registra/riprende più leggero di quello del collega, a quelli che la ceretta non è la ceretta se non si soffre un po', a chi non ha ancora avuto il rimborso dell'indennità caffé e che timbrare il cartellino è un'ingerenza non negoziabile oh yeahh, che per loro "finale di partita" è una trasmissione della domenica sul calcio oh yeahhhh , quelli che c'hanno le stock options e vogliono aggiungere uno zero allo stipendio e sono dei ganzi perché agli amici raccontano che loro sono i più bravi oh yeahhh... a tutti quelli che prendono tutto e non danno niente oh yeahh ("un individuo vale per quello che da alla società e non per quello che prende" B. Munari).

Ecco, a tutti questi qua, e a chissà quanti altri, dico di farsi un giro in via venezian, per capire cosa conta nella vita, per capire quanto si è fortunati nel non doverci andare per se e o per accompagnare qualcuno di caro. né moralismo né cinismo, ma solo un po' di sano e crudo realismo.



Vedere chi lavora per gli altri, vedere gli altri che soffrono, eccome se soffrono, aiuta a capire il mondo; se poi uno ci fa due visite si rende conto, anche, che alcuni da una volta all'altra non ci sono più.
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martedì, 30 ottobre 2007
ho appena sentito una cosa che mi ha infastidito su clienti, lavoro. beghe da comare.



vado io? no vai tu?

Bene così. Me la prendo per quei 2 secondi in cui mi rendo conto di un po' cose. mi dispiaccio. E penso alle cellule staminali, quelle cellule che sanno fare tutto sopratutto il sangue (le stesse che mi hanno trapiantato). Anche alcune persone sono come le cellule staminali: sono totipotenti. possono trasformarsi in qualsiasi cosa. Sono i più bravi, gli eletti, coloro cui il sapere è infuso. 

2 secondi, appunto.

Sono però pentito anche per quei due brevissimi secondi in cui mi sono fatto fregare da altri pensieri, da pensieri che non mi piacciono.Penso ai colleghi che per me hanno fatto tanto, alcuni tantissmo.

Poi suona il cellulare, un po' di allarme, il numero non lo riconosco subito ma qualcosa di famigliare lo vedo: le prime 4 cifre sono quelle dell'Isituto dei tumori di Milano.

No, non sono i rolling stones, nemmno gullit o il cliente che inseguivo e che quando è il momento giusto devi lasciar perdere; non è nemmeno la Gazzetta o Sky che mi chiedono di parlare di calcio. Niente di tutto questo.

Premo il bottone di risposta, tempo zero secondi e dall'altra parte c'è uno dei miei miti.

Uno dei miei medici, uno di coloro cui questo sito è dedicato. Avevo appena avuto qualche dubbio su un valore della biopsia osteomidollare, ma ecco la notizia.  quella che apre il cuore.

Due parole: immunofissazione negativa.

E' bastato questo per farmi tornare a sorridere, per scaricarmi di tutto, per tornare a sintonizzarmi con la vita reale. La mia vita reale. Per capire, ancora una volta, cosa importa veramente. Immunofissazione negativa, non mi stancherei mai di scriverlo. E infatti, immunofissazione negativa, immunofissazione negativa, immunoifissazione negativa. ecco qualcosa per cui vale la pena lottare, non per le magagne da cortile.

Già, ma che ne sa chi capita su questo sito di cosa voglia dire immunofissazione negativa. Per quasi tutti non vuol dire nulla e quasi tutti hanno l'immunofissazione negativa.

Per me vuol dire tutto. Senza quasi. Vivo anche per quello.

Mi hanno salvato la vita, posso scrivere e prendermela per certe cose perché qualcuno ha pensato a cosa fosse meglio per me in un momento importante. Eppoi cosa dire della donatrice.

Sono contentissimo, oggi è un giorno speciale, più speciale degli altri, che a loro volta sono speciali. perché ogni giorno vissuto è un giorno guadagnato per stare con chi si ama. con chi da senza pensare a cosa avrà in cambio.  Senza essere micragnoso, senza attaccarsi a qualsiasi punto per mettersi in mostra, per dire che è il più bravo.

La vanità è un nemico tremendo.

E così stasera abbraccerò, come tutte le sere precedenti e quelle future, mia moglie e mio figlio; lorenzino ha due anni e lotta insieme a noi.

grazie.
lunedì, 23 luglio 2007
Ci vuole forza e tanta fortuna, tutti lottano, non è che lotta solo chi ce la fa. La retorica mediatica si è impadronita della malattia. Non del dolore, quello rimane intimo e nascosto nelle pieghe dei muri dell'ospedale. Le persone sono schive e non sempre ci tengono a raccontare quanto gli è successo: le proprie difficoltà, la rabbia per non aver scelto la condizione di malato di cancro. Bisogna avere coraggio: che ne sanno quelli che ti dicono che bisogna essere motivati, che portano la gente a camminare sui carboni ardenti, quelli che la menano con il self improvement, l'autostima. Già, che ne sanno loro delle motivazioni delle persone. Siamo pieni di guru, di esperti della personalità, di chi sa dirci come dobbiamo affrontare ogni passo, anche il più faticoso. Le persone quando vengono a conoscenza della malattia reagiscono secondo l'istinto. I consigli sono utili ma non ci sono norme di comportamento, non basta leggere qualcosa su google. Gli altri che soffrono capiscono senza bisogno di parlare.

Sono sempre i tuoi cari, non mi stanco di ripeterlo, e le buone notizie che danno la carica per proseguire nelle terapie, nella pesantezza di ogni giorno, trascorso magari immobile su una poltrona perchè non si ha la forza, e la voglia, nemmeno di parlare.


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lunedì, 14 maggio 2007
"consegna effettuata con successo", sono queste le parole che James ha detto al telefono, quando è arrivato a Milano in via Venezian. Doveva chiamare in Minnesota e rassicurare che il carico, il prezioso carico era arrivato a destinazione. Adesso si, poteva andare in albergo, farsi una doccia, perdersi per i piaceri di Milano e la mattina dopo ripartire per Minneapolis, Minnesota (lo stato dei Cohen, di Bob Dylan e di Prince). Bravo James "you have done a great job!", ha attraversato montagne e oceani ma soprattutto metal detector nei vari aeroporti in cui è transitato. O meglio ai metal detector ci è passato di fianco, il suo bagaglietto non doveva entrarci, il rischio era danneggiare il carico. Eh si, nel valigino James portava una sacca di cellule staminali emopoietiche donate da una cittadina americana. Il destinatario era l'Unità di trapianto di midollo osseo dell'Istituto dei Tumori di Milano. Ad aspettare in una stanza attrezzata al sesto piano c'ero io. Già condizionato dal protocollo Kroger. Ero pronto per il trapianto, per la trasfusione delle cellule arrivate da lontano. La sacca è stata prima controllata e poi attaccata al trespolo, ero già collegato, catetere infilato nella femorale, in quello della succlavia passava l'idratazione. Pronti via, si parte, mezz’oretta di infusione e il trapianto è completo. In poche righe è difficile condensare l'esperienza umana di un trattamento così complesso. Adesso è passato poco più di un anno dal trapianto e continuo a prendere gli immunosoppresori e una serie di farmaci di copertura.







Sempre accanto a me, oltre a chi mi vuole bene, c'erano, e ci sono, i medici dell'UTMO dell'Istituto, lo dico subito sono dei dottori MI TI CI e non spreco l'aggettivo tanto per parlare di qualcosa. Insieme a loro tutto il personale del sesto piano di via Venezian, della sala prelievi e dell'iniettorato. Sono molto affezionato a tutte queste persone, che frequento ormai da oltre due anni. Queste righe sono un tributo a quello che fanno, tutti i giorni. Non c'è enfasi in quello che racconto ma solo i fatti crudi e un po' di cuore. Quello che mi sta accadendo poteva colpire chiunque, e infatti l'ambulatorio è sempre pieno, ma una strada, forse quella giusta l'ho trovata con l'aiuto dei "miei" dottori. Adesso sto bene e posso fare diverse cose che per un po' avevo accantonato.




Spesso i pazienti portano dei doni ai medici e agli infermieri del reparto, a me è successo il contrario, una delle infermiere del sesto piano, quando è tornata dalle vacanze mi ha portato un reagalino e ogni volta che salgo al sesto, indipendemente da chi incontro è sempre una specie di evento. Tutti mi sorridono.







La storia è lunga, e per certi versi incredibile, chi ci crederebbe che mentre facevo la chemioterapia abbiamo scoperto, io e mia moglie, di aspettare un bambino, e che adesso lorenzino ha 20 mesi ed è non "una"  forza della natura ma "la" forza della natura che si è manifestata a noi in tutta la sua potenza e volontà. E' successo prima di iniziare i trattamenti che mi avrebbero portato al trapianto di midollo osseo da donatore per contrastare la malattia: il mieloma multiplo.







Siamo nel mondo reale quello in cui si soffre e bisogna remare per andare avanti, quello in cui non basta leggere un manuale per capire, sapere, come comportarsi: ce ne è di tutti i tipi "come diventare manager in trenta minuti", "gestisci le tue risorse", "diventa imbattibile con gli scacchi", "come scrivere un curriculum", "come motivarti e motivare", i testi su come rafforzare la tua struttura mentale, il tuo pensiero intuitivo. Il marketing diventa una ragione di vita per tanti, esercitare il potere un'attività che porta al distacco completo dalla realtà, fosse anche solo un poterino da quattrosoldi. L'importante è averlo, date un cappello, una fascia, un nome a qualcuno e farete di costui un esercitatore di potere. Chi non è dotato naturalmente di certe risorse ricorre così a altre fonti, modalità di ispirazione. Bisogna diventare qualcuno, certo all'interno di un sistema prestabilito, dove la tua autorità possa valere qualcosa. E così siamo circondati da capi e capetti, da furbi e maliziosi, da ottusi e impauriti, ma sempre capetti. Pronti a mediare, a negoziare, a usare il vocabolario in modo smussato; comunque in mezzo e in preda all'indefinizione.







Il paziente invece non esercita alcun potere, anzi lo subisce. Gli stati d'animo sono diversi per ognuno, e ognuno ha una sua storia. Nessuno ha scritto mai il manuale del perfetto paziente, di come ci si deve comportare, di quali sono le domande da fare, di come relazionarsi con i medici. Si deve imparare  ogni cosa, così come abbiamo imparato a parlare, a  mangiare da soli e a camminare. Tutto crolla. Rimani tu, chi ti ama, la struttura e le cure. Una semplificazione del mondo, per certi versi una facilitazione del mondo. Sai dov'è il bene e qual è il male.







Ad aiutarti è la promiscuità tra l'intelligenza e il talento a buttarti giù quella tra la superbia e l'ignoranza. E' difficile digerire i discorsi, sia sulla quotidianità, quando hai attraversato certe steppe, sia quelli sulla tua salute che ti toccano sull'aspetto più caro, ed egoisitico, la tua vita e il tuo progetto. Quindi le persone da ammirare non sono i protagonisti del gossip, dell'industria, del profitto, le persone visibili che tanto piacciono, i capi, il board, i manager, quelli delle copertine. A meritare la stima (parola da maneggiare con molta cautela e parsimonia) sono pochi nella vita di ognuno.  A meritare la mia sono quelli che vedo quando vado all'Istituto, malati, volontari, parenti dei malati, ex malati, dei medici e del personale ho già detto. Così come per quelli che conosco e che stanno vivendo la stessa esperienza.  La forza di questa gente ha un effetto moltiplicatore, un effetto basato, per sfortuna, sulla condivisione della fatica, sulla comprensione dello stesso codice. Una donna o un uomo senza capelli, è duro da dire, ma è la verità, all'interno della struttura non hanno bisogno di spiegare il perché del loro stato, gli altri lo sanno e basta. Paradossalmente, entrarci dentro fornisce una vita parallela. Lo noto in questo periodo in cui i miei controlli si sono diradati, quando torno ho sempre un'impressione di calore, seppure è faticoso presentarsi all'esame del sangue la mattina molto presto, per fare i prelievi prima di prendere la "dose", di ciclosporina.

Il silenzio, il rapporto con gli altri, le attese cambiano l'idea del tempo; quanto ci metti, quanto ci vuole, quando lo consegni? Si impara in fretta che le cure non sono un orario ferroviario. Bisogna, ovviamente rispettare delle regole, dei protocolli, ma ognuno è diverso e ognuno reagisce in modo diverso.  Si impara che nulla è dovuto, che ogni passo è da conquistare.  Si impara a saper aspettare a dare il proprio peso a ogni minuto, a ogni granello di polvere.




Ho visto, mi abbandono a un monologo tra ginsberg e roy di blade runner, più palle nei bambini, negli anziani sulle sedie a rotelle, più capacità di soffrire più dignità rispetto a qualsiasi altro essere umano incontrato nel mondo ipocrita di coloro che hanno tutto da insegnare, ma nulla da dare. Tutto da dire, ma niente da raccontare; tutto da mostrare ma nulla da amare. Ho visto persone piangere per situazioni serie, non per la fiction in tv; ho visto chi soffre, pallido e senza capelli, dimagrito di 15 chili, sto parlando di quello che ho visto a Milano, primo mondo, avanzato e sicuro, dove le cure sono spesso di primordine, per tutti. Non ho avuto bisogno di pensare alla povertà che pur ho visto in altre parti del mondo. basta prendere l'autobus, linea 61, scendere all'angolo con via strobel, fare qualche metro. 




La sala prelievi non ha nulla di allucinante, però è un luogo dell'anima, dove farsi un giro per capire e, se si sta bene e ci si perde in paranoie sulla carriera il guadagno, le beghe da ufficio e da cortile, per rendersi conto di quanto si ha. E di quello che si ha e di quale importanza abbia la salute, l'affetto dei propri cari e di chi ci ama sul serio. Ho visto manifestazioni di amore puro, sgorgare dalle parole e dalle mani di alcuni genitori per i propri figli, ho visto annientarsi le differenze sociali e culturali, ho visto tutti con lo stesso occhio. Una manifestazione di democrazia assoluta.







Ho visto crescere mio figlio, l'ho visto nascere in un momento per me molto faticoso, in mezzo ai due autotrapianti. Ho visto il viso di mia moglie felice, tutto concentrato in quei pochi minuti. Le cure avute sino all'evento più meraviglioso della nostra vita mi avevano un po' buttato giù, ma quel giorno avrei voluto togliermi il bustino per salvaguardare le vertebre, come poi ho fatto, per stringere un certo tipo appena arrivato. La sensazione da descrivere è fortissima e intensa, le orecchie mi si sono tappate; dopo il lavaggio mi hanno messo tra le braccia un fagottino bianco. Il fagotto adesso cammina e vuole mangiare da solo.







Fino ai 38 anni avevo vissuto una vita normale, ammesso che ci sia una definizione di normalità che possa andare bene per tutti, o almeno lo era per il nostro concetto occidentale e milanese. Poi la scoperta e l'inizio delle cure e, contemporaneamente, una paura da immobilizzare i polpastrelli.





La normalità, quel tipo di vita di cui spesso ci si lamenta, del quale si pensa che sia da sfigati non poter avere donne, divertimenti, denaro, notorietà, potere riacquista altri significati una volta attraversati i territori sconosciuti della cura e della paternità. I valori, quelli in cui si spendono milioni di euro per capirne l'evoluzione con le ricerche di marketing, si spostano velocemente. Si ribaltano, la salute irrompe al primo posto, subito dopo c'è il suo mantenimento. Ma, ancora una volta, troviamo intorno a noi persone ottuse che pensano sempre di essere più furbi, più bravi, più talentuosi. E invece l'individuo colpito dalla malattia, sviluppa un nuovo istinto, un fiuto speciale in grado di selezionare subito, sulla base delle reazioni a certi discorsi, il tipo di persona che si ha davanti.


Non solo pensi alle persone che hai davanti, ma anche a quella che hai "dentro", è il caso dirlo; ho il midollo osseo di una donna americana che mi ha donato quanto di più importante e utile si possa donare a qualcun altro: la possibilità di curarsi. Donare presuppone la gratuità, presuppone il disinteresse, anche da questo ho imparato moltissimo nel rapporto con gli altri. Tutti chiedono, cercano, vogliono, pochi offrono e senza un tornaconto. Solo per la consapevolezza di aiutare qalcun altro che ha bisogno. Ti chiamano e ti dicono "ehi ma sai che la tua tipizzazione matcha con quella di un italiano che avrebbe bisogno di un trapianto da donatore non consanguineo". Per il donatore inzia un percorso che non è affatto semplice, deve sottoporsi a una serie di esami, prendere dei farmaci che incrementino la produzione delle cellulle staminali emopoietiche, sottoporsi alla raccolta (stai inchiodato per qualche ora a una macchina che prende il tuo sangue e lo "filtra" dividendo le cellule). Durante il trattamento puoi avere dei dolori al bacino e comunque meno forze da dedicare alle tue attività. Il donatore non corre rischi e terminato il periodo di raccolta non ha problemi, ritorna tutto intero. Però quello che questa, a me sconosciuta, mamma americana ha fatto per me si spiega solo con la parola amore e responsabilità. Posso dire che all'america devo moltissimo senza essere accusato di essere uno yankee?








Ci vuole tempo per vedere se il midollo trapiantato ha attecchito, i giorni all'interno della stanza sterile, oh si quella da cui puoi parlare con chi ti viene a trovare solo attraverso un vetro, non sono proprio una passeggiata. Sei collegato alla pompa che ti spara l'idratazione e i farmaci direttamente in vena, nel cvc (catetere venoso centrale, un tubicino infilato nella vena per un 10/15 cm). Dal catetere parte una "linea" che ti collega direttamente alle pompe. Il rumore che ti accompagna, giorno e notte, è come quello del respiro di Darth Vader di gerre stellari, quello del lato oscuro. Sei li che impari a dormire a pancia in su, per non schiacciare il tubo, se c'è un'occlusione comincia a suonare e a lampeggiare tutto. La giornata ha un'agenda tutta sua, si inizia con il prelievo, la temperatura, le terapie. Poi la colazione e il giro dei medici. La stanza è confortevole con la tv e la possibilità di utilizzare internet, mi sono visto anche uno strepitoso derby sul: goal di kaladze. Con quelli delle altre stanze non puoi parlare perché non li vedi e non li conosci, non ci sono spazi comuni, tutto avviene all'interno della stanza, in cui anche l'aria è sterilizzata. Non si scherza. Nemmeno con il cibo sudato, tutto è sigillato implasticato e quindi spesso poco gustoso. Ma n verità l'appettito manca, e se vai troppo giù, un po' di glucosio endovena ti aiuta subito a riprenderti. Di leggere non se ne parla, di fare un po' di cyclette nemmeno, si è sempre strafiacchi.





Non si può praticamente camminare e anche le attività di toilette quotidiana sono condizionate dal tubo.




Qualche mail, qualche amico cui rispondere, il telefono per le urbane gratuite, ma sono di milano e quindi mi andava di lusso.




Sono stato trattato benissimo per tutto quanto dipendeva dal reparto. Sono stato ricoverato, per motivi diversi, 5 o 6 volte davvero non mi ricordo  più il numero. Mi è capitato di farmi dentro il mio compleanno (quando sono stato operato alla testa, adesso ho una cicatrice di 35 punti che da anche un certo tono), pasqua, il 25 aprile, il 1 maggio, insomma ho timbrato in tutte le stagioni dell'anno. E sempre, in ogni momento, c'era qualcuno in gamba che portava avanti il lavoro, alla chemio ad alte dosi non frega molto se è festa o se si lavora. Deve entrare in circolo e fare il suo lavoro di spazzino e, insieme, mandarmi ko per la debolezza.




Il trapianto da donatore, quello per ci sono stato più tempo ricoverato, e, strappando qualche lacrima, lontano dal lorenzino mi ha tenuto dentro tre settimane. Dopo è cominciato l'avanti indietro dall'istituto a a casa viceversa, controlli serrati e frequenti.  




La sensazione paradossale, ma fino a un certo punto, è  che essere dentro è rassicurante e stare fuori pericoloso. Poi pianissimo pianissimo i rapporti di forza si invertono e starsene a casa propria fa parte della cura. Purtroppo molte persone in cura arrivano da fuori regione e per i periodi in cui non possono allontanarsi da milano devono affittare degli appartamenti. A fornire il servizio sono degli sciacalli, l'ospedale non è in grado di far fronte alle richieste. Naturalmente nessuno fa niente, istituzioni latitanti e comune che mette la sosta a pagamento nei pressi dell'ospedale.



Tutto in quei momenti appare difficile e indefinito, sei vicino a tutti i tuoi cari: la malattia colpisce uno ma coinvolge tutti, ma allo stesso tempo ti senti allontanato, con un il vetro che ti divide. Gli altri, quelli che ami, non possono toccarti, ma solo vederti utilizzando sovrascarpe, camice, guanti, mascherina, cuffia per i capelli. questo per gli adulti. Per i piccoli ninete, vietato l'ingresso. E così, e così (come cantano i sette nani) niente lorenzino per tutti i periodi in cui lui c'era già e io dovevo restare isolato. Ogni giorno aspettavo le visite, e ogni giorno c'era qualcuno per me, sono venuti in tanti, non tutti nelle stanze vicine avevano la stessa fortuna. Una volta, di frodo, è venuto il piccolo ocn la sua mamma, e le infermiere e le dottoresse (quel giono festivo non c'erano uomini in giro) lo hanno riempito di complimenti. La tecnologia mi permetteva però di vedere tutte le foto che ogni giorno mia moglie gli faceva.




E' un'alternanza continua tra il tutto e l'ogni, tra il singolo e la collettività, tra te stesso e chi ti ruota intorno.




I pensieri sugli altri, sul mondo e sul disappunto di come ti appaiono certe cose arrivano dopo, quando riesci a prendere fiato, durante i trattamenti (e io li ho sopportati abbastanza bene) la fatica si impossessa del tuo spirito e del tuo organismo. Non hai forza nemmeno di pensare al pensiero della stanchezza.





I farmaci da prendere cambiano, si aggiornano, aumentano è sempre un rincorrere, alchimia. Per contare quelli che ti danno in un caso come il mio occorrerebbe il prontuario per poi spuntarli uno a uno. La disciplina è ferre, militare nei dosaggi e negli orari. Qualche licenza è concessa ma sempre con attenzione.  Sono una presenza quotidiana, entrano a afar parte della routine, della ripetitività dei gesti: lavarsi i denti, fare colazione, andare a dormire, prendere i farmaci. tic tac, tic tac, è come avere un microchip inserito nel cervello. Un alert, di quelli che tanto piacciono a chi investe on line.